giovedì 27 gennaio 2011

Al prossimo Consiglio Comunale mozione su "Crisi economica e referendum Fiat"

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Gruppo Consiliare – Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista

ORDINE DEL GIORNO
“Crisi economica e referendum Fiat”

PREMESSO:

che la grave crisi che stiamo attraversando è strutturale e al contempo globale, ed è una crisi economica dipendente da una crisi ambientale ed energetica;

che il sistema economico-produttivo vacilla e manifesta ogni giorno di più la sua inadeguatezza e insostenibilità. Questo è il  momento per ripensare complessivamente il nostro modello di società e la nostra idea di benessere;

che il governo nazionale non propone soluzioni politiche in grado di fronteggiare la crisi,  ma attua politiche fallimentari che scaricano i costi della crisi sulle fasce più deboli della società, punta alla competizione tramite l'abbassamento del costo del lavoro e delle tutele per i lavoratori, determinando così lavoro precario, disoccupazione, diseguaglianze, e, conseguentemente, un'Italia sempre più povera;

      che il conflitto Fiat-Fiom scoppiato a fine 2010 sul progetto per lo stabilimento di Mirafiori a Torino – che segue l'analoga vicenda presso  lo stabilimento di Pomigliano – rappresenta un passaggio cruciale per il futuro economico e sociale del nostro Paese;

CONSIDERATO
che l’argine rotto dall’accordo imposto da Marchionne allo stabilimento di Mirafiori, verrà riproposto a cascata (già succede: vedi le dichiarazioni di FinMeccanica) negli altri stabilimenti FIAT e nel paese mutando il concetto di contrattazione collettiva;

che appare evidente il tentativo, in questa come in altre occasioni, di usare la crisi economica per cancellare i diritti e le tutele conquistate dalle lavoratrici e dai lavoratori attraverso anni di lotte;

che l’atteggiamento della Fiat contrasta  con l’articolo 39 della Costituzione Repubblicana e con i titoli II e III della legge 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei diritti dei lavoratori);

che le garanzie proposte da FIAT sono pressoché nulle, come inconsistente è il piano di recupero, che non sembra tener conto della crisi generalizzata a livello mondiale del settore auto – legata anche e soprattutto al fenomeno della superproduzione relativa al mercato attuale – il che rende improbabile un’uscita dalla crisi di settore attraverso un semplice aumento della produttività;


che l’atteggiamento di FIAT, che in Italia detiene di fatto il monopolio del settore, risulta  ingiustificato per le ingenti agevolazioni statali di cui ha beneficiato nel corso degli anni – tramite incentivi e finanziamenti pubblici –, nel momento in cui Fiat si configura come una multinazionale volta al solo profitto e progetta la delocalizzazione del lavoro salariato nei paesi dove il costo del lavoro è inferiore e minori i controlli;

che oggettivamente la politica aziendale di FIAT appare pesantemente sbilanciata verso il  la speculazione finanziaria e punta, più che ad un rilancio o ad un rinnovamento dell’impresa, ad una semplice “ristrutturazione” degli organici e dei contratti, preferendo investire invece nelle acquisizioni di quote societarie (partecipazione in Crysler, ormai al 25%) finalizzate a mere speculazioni borsistiche;

CONSIDERATO INOLTRE

che  il referendum sull'accordo di Mirafiori – nonostante il clima intimidatorio e il ricatto della delocalizzazione dell'attività finalizzati ad ottenere un plebiscito di consensi – ha  visto prevalere solo di misura il sì e dimostra che la Fiat non ha il consenso dei lavoratori, soprattutto nei settori della catena produttiva, realmente colpiti dall’accordo


EVIDENZIATO

che non si può uscire dalla crisi economica e dalla crisi di settore se non rimettendo in discussione il modello economico che ha come unico metro di misura del benessere umano  il PIL e i dati relativi al consumo

che è necessario intraprendere nuove strade, lavorando per una riconversione ecologica dell'economia,  che sia fondata su sostenibilità ambientale ed equa ripartizione delle risorse, capace di garantire la qualità sociale, i diritti del lavoro e della persona,  e proponga nuovi modelli di produzione e di acquisto,  affermando nuovi stili di vita più sobri e più responsabili;

IL CONSIGLIO COMUNALE DI SAN CASCIANO VAL DI PESA SI IMPEGNA

a sottoscrivere e sostenere, senza riserve, la causa dei tanti lavoratori FIOM che si sono opposti al ricatto padronale dell’ad. FIAT, facendosi garante, negli organi istituzionali competenti, dei diritti fondamentali del cittadino, della libertà e del lavoro, da sempre parti fondanti della nostra Carta Costituzionale
a promuovere e investire in una riconversione ecologica, sostenibile e solidale dell'economia, quale strategia per uscire dalla crisi e garantire a tutti un'esistenza dignitosa nel rispetto dei limiti del pianeta.

Acqua pubblica e senza balzelli

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Il Nuovo Corriere di Firenze, 20 gennaio 2011
San Casciano Val di Pesa. "Laboratorio" alza la voce e accusa il soggetto gestore
Acqua pubblica e senza balzelli

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sabato 22 gennaio 2011

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Con questo striscione verranno aperte le manifestazioni regionali che si terranno il 28 gennaio prossimo nel giorno dello sciopero generale della categoria proclamato dalla Fiom



Per firmare il nostro appello ci si può rivolgere alle nostre delegate, ai nostri delegati, alle Fiom territoriali oppure tramite il sito internet cliccando qui

Appello

Abbiamo convocato lo sciopero generale dei metalmeccanici per il 28 gennaio; è una tappa fondamentale per la riconquista del Contratto Nazionale e la salvaguardia dei diritti nei luoghi di lavoro.

La scelta compiuta dalla Fiat alle Carrozzerie di Mirafiori e a Pomigliano D’Arco è un atto antisindacale, autoritario e antidemocratico senza precedenti nella storia delle relazioni sindacali del nostro paese dal dopoguerra.

È un attacco ai principi e ai valori della Costituzione Italiana e alla democrazia perché calpesta la libertà dei lavoratori e delle lavoratrici di decidere a quale sindacato aderire per difendere collettivamente i propri diritti e di eleggere i propri rappresentanti in azienda. Chi non firma scompare e chi firma diventa un sindacato aziendale e corporativo guardiano delle scelte imposte dalla Fiat. Si annullano il Contratto Nazionale di Lavoro e peggiorano le condizioni di fabbrica, si aumenta lo sfruttamento e l’orario di lavoro, si lede ogni diritto di sciopero e si riduce la retribuzione a chi si ammala cancellando così in colpo solo anni di lotte e di conquiste.

Il ricatto di Marchionne è coerente con la distruzione della legislazione del lavoro in atto che vuol rendere tutti soli e precari; è la stessa logica regressiva messa in pratica dal Governo con l’attacco al diritto allo studio e alla ricerca attuato attraverso l’approvazione del DDL Gelmini e il taglio ai fondi per l’informazione e la cultura.

Si mettono così sotto scacco principi democratici di convivenza civile fondamentali.

La Fiom considera il lavoro un bene comune e per questo il 16 ottobre dopo il ricatto/referendum illegittimo imposto dalla Fiat a Pomigliano ha dato vita a una grande manifestazione, aperta a tutti coloro che sono impegnati nella difesa di diritti e libertà costituzionali inviolabili.

Lo sciopero generale proclamato per il 28 gennaio della categoria e le manifestazioni dopo il ricatto/referendum di Mirafiori hanno lo stesso obiettivo: come ha dimostrato l’introduzione delle deroghe nel Contratto Nazionale dei metalmeccanici firmato da Federmeccanica e le altre organizzazioni sindacali, quando si ledono diritti fondamentali la ferita non si circoscrive ma travolge progressivamente tutto il mondo del lavoro.

La Fiom è impegnata a sostenere il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro senza deroghe, a difendere la legalità, la democrazia e la libertà di rappresentanza sindacale, a combattere la precarietà e il dominio del mercato che divorano la vita delle persone e compromettono la coesione sociale e il futuro del paese.

Chiediamo a tutte le persone, le associazioni e i movimenti che condividono queste ragioni di sostenere la lotta dei metalmeccanici e di firmare questo nostro appello.



"L'irrealizzabile modello Marchionne" di Guido Viale

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Ci sarà pur una ragione per cui la totalità dell'establishment italiano, dal Foglio della ex coppia Berlusconi-Veronica a Pietro Ichino - quel che resta della componente pensante di un partito ormai decerebrato) - converge nel chiamare «modernizzazione» il diktat di Marchionne («o così, o si chiude»). Che per gli operai di Mirafiori (età media, 48 anni; ridotte capacità lavorative - provocate dal lavoro alle linee - 1500 su 5200; molte donne) vuol dire: 18 turni; tre pause di dieci minuti per soddisfare - in coda - i bisogni fisiologici (a quell'età la prostata comincia a pesare; e nessuno lo sa meglio dell'establishment italiano, ormai alla grande sopra i 60); mensa anche a fine turno (otto ore di lavoro senza mangiare); 120 ore di straordinario obbligatorio, divieto di ammalarsi in prossimità delle feste, più - è un altro discorso, ma non meno importante - divieto di sciopero per chi non accetta e «rappresentanti» degli operai scelti tra, e da, chi è d'accordo con il padrone. Mentre «converge», l'establishment nel chiamare invece «conservazione» - o anche «reazione»; così Giovanni Sartori sul Corriere dell'8 gennaio - la scelta di opporsi a questo massacro. Nessuno di quei sostenitori della modernità si è però chiesto se il progetto «Fabbrica Italia» della Fiat, nel cui nome viene imposto questa nuova disciplina del lavoro, ha qualche probabilità di essere realizzato.


Vediamo. Nessuno - tranne Massimo Mucchetti - ha rilevato che i 20 miliardi dell'investimento investimento non sono in bilancio e non si sa da dove verranno. Nessuno può né deve sapere a chi e che cosa saranno destinati. Per ora le promesse sono 1.700 milioni di «investimenti» per due fabbriche, 10.700 lavoratori e tre nuovi «modelli» di auto, per una produzione complessiva di circa mezzo milione di vetture all'anno. Fanno, poco più di 150mila euro per addetto e, supponendo che un modello resti in produzione circa tre anni, poco più di mille euro per vettura (calcolando una media, tra Suv, Alfa e Panda, di 20mila euro a vettura, il 5 per cento del loro prezzo). Se una parte dei nuovi impianti, come è ovvio, servirà anche per i modelli successivi, l'investimento per vettura è ancor meno. Non gran che.


Nessuno - o quasi - si è chiesto quante possibilità ha Marchionne di vendere in Europa un milione all'anno in più delle vetture che promette di produrre in Italia. Di fronte a un mercato di sostituzione, nella migliore delle ipotesi, stagnante, vuol dire sottrarre almeno un milione di vendite alla Volkswagen o alle imprese francesi ben sostenute dal loro governo. Difficile crederci proprio ora che Fiat perde colpi e quote di mercato sia in Italia che in Europa. Per riuscire a piazzare mezzo milione all'anno di Alfa (vetture, non marchio), è già stato detto che dovrà venderle sulla Luna. Che le quotazioni della Fiat crescano è solo il segno che la Borsa è ormai una bisca fatta per pelare il «risparmiatore». Nessuno - nemmeno Giovanni Sartori, che pure «aveva previsto tutto» ed è molto in ansia per le sorti del pianeta - si è veramente chiesto che futuro abbia, tra picco del petrolio, contenimento delle emissioni e misure anticongestione e inquinamento, l'industria dell'automobile in Europa e nel mondo.



Eppure il tema meriterebbe qualche riflessione. In Europa c'è già un eccesso di capacità produttiva del 30-40 per cento; negli Stati Uniti anche: Il sole24ore del 6 gennaio ci informa che "nei prossimi cinque anni" anche in Cina - la nuova frontiera del mercato automobilistico mondiale - ci sarà una sovracapacità produttiva del 20 per cento. 
Per il momento - la Repubblica, 7 gennaio - apprendiamo che «Pechino soffoca tra i gas» (e per ingorghi e congestione); tanto che sono stati contingentati e sottoposti a un sorteggio i permessi di circolazione. E qualche tempo fa una coda di cento chilometri alle porte di Pechino si è sciolta dopo un mese. Non sono buone notizie per l'industria automobilistica. Ma anche il governo della «locomotiva del mondo» comincia a pensare ai suoi guai «La desertificazione è il problema ecologico più grave del paese» ha affermato Liu Tuo, capo dell'ufficio cinese per il controllo della desertificazione (il manifesto, 6 gennaio). Niente a che fare con la produzione e la messa in circolazione di 17 milioni di auto, aggiuntive, non sostitutive, in un anno?


La conclusione è chiara: la «modernizzazione» al sostegno della quale è sceso in campo, con spirito militante, tutto l'establishment italiano, è questa: una corsa verso il basso delle condizioni di chi lavora, facendo delle maestranze di ogni fabbrica una truppa in guerra contro le maestranze della concorrenza (sono peggiorate molto anche quelle degli operai tedeschi e francesi, nonostante i salari più alti: basta considerare l'aumento delle malattie professionali) e, come premio per tanti sacrifici, la desertificazione del pianeta Terra.
Se questa è la «modernizzazione» - e che altro, se no? - diventa anche chiaro che cosa significa opporsi alla sua sostanza e alle sue conseguenze. 
Non la «conservazione» dell'esistente - sarebbe troppo comodo - come sostengono i fautori delle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione, ma la progettazione, la rivendicazione e la realizzazione di un mondo totalmente altro, dove la condivisione sostituisce la competizione e la cura dei beni comuni sostituisce la corsa all'appropriazione privata di tutto e di tutti: il che ovviamente non è questione di un giorno o di un anno - e in parte nemmeno di uno o due decenni - né di una semplice dichiarazione di intenti, per quanto articolata e documentata possa essere.


Quel mondo va costruito pezzo per pezzo. A partire quasi da zero. Ma sapendo che nel mondo una «moltitudine inarrestabile» composta da migliaia di comunità e da milioni e forse miliardi di esseri umani), ciascuno a modo suo, cioè secondo le condizioni specifiche in cui si trova a operare e a cooperare con il suo prossimo, aspira e già lavora in questa stessa direzione. Nello stesso numero citato de Il sole24ore, un articolo dal titolo "Tra gli operai, un sì per il futuro" (ma il testo dice esattamente l'opposto) registra una condanna unanime del nuovo accordo (nessuno lo considera, come fa invece l'establishment, un passo avanti); ma tutti piegano la testa dicendo che non c'è alternativa. «Però - sostiene un quadro della Fiom - la posta in palio è il lavoro, e chi si fa blandire dalle sirene degli estremismi e dalle ideologie sbaglia strada». «O sa - aggiunge - di avere qualche alternativa pronta».


Il problema è proprio questo. Non ci sono «alternative pronte». Quindi bisogna approntarle e non è un lavoro da poco. Ma ormai, che l'alternativa è la conversione ecologica del sistema industriale e innanzitutto, per il suo peso, il suo ruolo e le sue devastazioni, dell'industria automobilistica - che non vuol dire automobili ecologiche, che è un ossimoro, ma mobilità sostenibile - lo ha capito anche la Fiom. La «modernizzazione» di Marchionne sta cambiando a passi forzati il ruolo dei sindacati. Quelli firmatari hanno scelto per sé la funzione di guardiani del regime di fabbrica: che era quella dei sindacati «sovietici» ed è quella dei sindacati della Cina «comunista». 
Cambia anche il ruolo dei sindacati che non rinunciano alla difesa dei lavoratori e al conflitto. Che per mantenere la sua indipendenza deve cercare sostegno e offrire una prospettiva anche a chi si batte fuori delle fabbriche Così il raggruppamento Uniti contro la crisi, a cui aderiscono anche molti membri della Fiom, ha convocato per il 22 e il 23 a Marghera un primo seminario per discuterne e affrontare il problema della riconversione. È un progetto che intende coinvolgere la totalità dei movimenti ambientalisti, gran parte dei comitati e dei collettivi che si sono battuti in questi anni per «un altro mondo possibile». E, soprattutto, un movimento degli studenti, dei ricercatori e dei docenti schierati contro la distruzione della scuola, dell'università, della ricerca e della cultura imposta dal governo, che su questi temi può trovare il terreno più fertile per dare continuità e respiro strategico al proprio impegno.
www.guidoviale.blogspot.com

sabato 15 gennaio 2011

Stop all'odioso balzello di Publiacqua per l'adeguamento della cauzione. Sì ai referendum per l'acqua pubblica

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Comunicato stampa

Stop all'odioso balzello di Publiacqua per l'adeguamento della cauzione.
Sì ai referendum per l'acqua pubblica

L'ultima Assemblea dei Sindaci dell'Ato3,  che si è tenuta a Firenze lo scorso 17 dicembre,  ci ha ripensato e ha respinto l'aumento del deposito cauzionale imposto da Publiacqua agli utenti titolari di vecchi contratti.
Un po' di storia per capire.
Lo scorso aprile l'Ato3 Medio Valdarno, di cui fa parte anche San Casciano V.P, aveva approvato all'unanimità la nuova carta dei servizi. Forzando l'interpretazione del nuovo regolamento, Publiacqua successivamente ha imposto l'aumento di cauzione a tutti gli utenti.
Adesso l'Assemblea dei Sindaci dell'Ato3 ha approvato un ordine del giorno in cui si dichiara che tali modifiche debbano avere validità solo per i nuovi utenti e si chiede a Publiacqua di restituire le somme già prelevate ai cittadini titolari di vecchi contratti.
Questo documento è stato approvato a maggioranza, ci chiediamo: come ha votato il sindaco di San Casciano, strenuo difensore della società per azioni che gestisce il nostro servizio idrico?
Consideriamo la decisione dell'Assemblea di Ato un passaggio importante.
Si tratta di un primo risultato del movimento per l'acqua, delle forze sociali e politiche che si sono opposte all'aumento della cauzione, che in generale sono impegnate per la ripubblicizzazione del servizio idrico, per un nuovo ed equo modello tariffario.
Adesso l'Ato faccia valere la decisione presa, modificando il regolamento del servizio, e agisca perché vi siano subito i rimborsi.
Publiacqua restituisca ai cittadini le somme indebitamente prelevate.
Questa vicenda, conseguenza delle logiche privatistiche con le quali la Società per Azioni Publiacqua gestisce il servizio idrico, conferma l'importanza e la necessità di affermare l'acqua come bene comune, sottrarla alle logiche di mercato, restituirla alla gestione pubblica e partecipata delle Comunità locali.
Nei giorni scorsi la Corte Costituzionale ha ammesso due dei quesiti referendari proposti contro la privatizzazione del servizio idrico dai movimenti per l'acqua. A primavera la parola tornerà ai cittadini. Confermiamo tutto il nostro impegno per la vittoria del “sì” ai referendum che rappresentano lo strumento per la tutela di un bene essenziale come l'acqua, ma sono anche il mezzo perché si affermi un modello pubblico e democratico di gestione del servizio idrico e in generale di tutti i beni comuni.
Laboratorio per un'Altra San Casciano-Partito Rifondazione Comunista

Stop all'odioso balzello di Publiacqua per l'adeguamento della cauzione

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giovedì 13 gennaio 2011

Si della Consulta al Referendum contro la Privatizzazione dell’Acqua

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Sì della Consulta, adesso la parola ai cittadini

La Corte Costituzionale ha ammesso due quesiti referendari proposti dai movimenti per l’acqua. A primavera gli uomini e le donne di questo paese decideranno su un bene essenziale. La vittoria dei “sì” porterà ad invertire la rotta sulla gestione dei servizi idrici e più in generale su tutti i beni comuni.

Attendiamo le motivazione della Consulta sulla mancata ammissione del terzo quesito, ma è già chiaro che questa decisione nulla toglie alla battaglia per la ripubblicizzazione dell’acqua e che rimane intatta la forte valenza politica dei referendum.

Il Comitato Promotore oggi più che mai esige un immediato provvedimento di moratoria sulle scadenze del Decreto Ronchi e sull’abrogazione degli AATO, un necessario atto di democrazia perché a decidere sull’acqua siano davvero gli italiani.

Il Comitato Promotore attiverà tutti i contatti istituzionali necessari per chiedere che la data del voto referendario coincida con quella delle elezioni amministrative della prossima primavera.

Da oggi inizia l’ultima tappa, siamo sicuri che le migliori energie di questo paese non si tireranno indietro.

Roma, 12 gennaio 2011

http://www.acquabenecomunetoscana.it/
www.ciaccimagazine.org

Lettera di Patrizia Gentilini, oncologa, sull'inquinamento alimentare da diossina

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Lettera di Patrizia Gentilini, oncologa.
Presidente Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Forlì


Dott.ssa PATRIZIA GENTILINI
FORLI -”Con il recente scandalo di polli e uova tedesche alla diossina ritorna il problema della sicurezza alimentare (… le mozzarelle campane, le pecore pugliesi, i suini irlandesi) che però rischia di passare come una notizia fra le tante. Col termine diossina si intende la TCDD, nota come “diossina di Seveso” dopo l’incidente del 1976, pericolosa a dosi infinitesimali (miliardesimi di milligrammo), è stata definita la sostanza più pericolosa conosciuta; affini a questa molecola ve ne sono centinaia per cui si parla genericamente di “diossine“. Sono molecole persistenti nell’ambiente, la cui assunzione avviene per il 90% per via alimentare: pesce, latte, carne, uova e formaggi. Le diossine sono trasmesse dalla madre al feto durante la gestazione e l’allattamento. Dagli studi risulta che in Italia un lattante di 5 kg assume diossine da alcune decine fino a centinaia di volte superiori al limite massimo dell’UE. Le diossine rientrano nel gruppo degli interferenti endocrini. L’esposizione a diossine è correlata allo sviluppo di tumori (*). Trattandosi di sostanze così pericolose nel 2004 è stata stilata a Stoccolma una convenzione da 120 Paesi, fra cui l’Italia, per vietare la produzione intenzionale ed imporre la riduzione di quella non voluta. Peccato che il nostro Paese sia stato l’unico a non averla ratificata!Le diossine si formano in particolari condizioni di temperatura in presenza di cloro. Ogni processo di combustione, in particolare di plastiche, porta alla loro formazione, e sono presenti nei fumi e nelle ceneri degli inceneritori. Le uova alla diossina vengono fatte risalire alla somministrazione di mangimi contaminati da oli industriali ed altri inquinanti agli animali, ma questo oscura il fatto che nel 2005, nella stessa regione ( Bassa Sassonia), si era evidenziata una contaminazione oltre i limiti consentiti di ben il 28% di polli allevati all’aperto – quindi polli “ruspanti“, che consideriamo sicuri perchè allevati in modo “naturale“. La Bassa Sassonia è caratterizzata da acciaierie ed inceneritori. Parlare di mangimi e non delle ricadute delle diossine non mette a fuoco le conseguenze di uno “sviluppo” industriale dissennato. Aver distrutto la civiltà contadina, avvelenato il territorio con pesticidi e permesso impianti assurdi ed inquinanti come gli inceneritori arreca incalcolabili danni all’ambiente e alla salute e mina la possibilità stessa di sopravvivenza delle generazioni future.
I dati relativi all’agricoltura europea mostrano come l’Italia è destinata al fallimento anche dal punto di vista agricolo che dovrebbe rappresentare l’eccellenza nel nostro Paese. L’ andamento dei redditi agrari del 2010 sul 2009 è: EU +12.3, Danimarca +54.8, Olanda +32, Francia +31, Germania +23, Spagna +7, Italia -3.3 (con calo della superficie agricola di 19.200 kmq negli ultimi 10 anni). Dobbiamo riconoscere il fallimento del modello di sviluppo attuale che non si cura delle conseguenze delle proprie scelte ed è arrivato a contaminare le basi dell’alimentazione inquinando anche l’alimento più prezioso al mondo: il latte materno!”

Patrizia Gentilini – Presidente Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Forlì

"Addio alla plastica"

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http://www.comunivirtuosi.org

Con il primo gennaio 2011 è entrato in vigore il divieto di commercializzare i sacchetti di plastica e viene data agli esercizi commerciali la possibilità di esaurire le scorte a titolo gratuito per il cliente. Il Ministero dello sviluppo economico ha emesso una recente nota specificando che i sacchetti biodegradabili permessi sono esclusivamente quelli che rispondono ai requisiti di biodegradabilità e compostabilità definiti dalla norma tecnica armonizzata UNI EN 13432.
Non essendo però stati pubblicati decreti attuativi o circolari informative resta ancora da capire quali tipologie di sacchi da asporto (con o senza manici) sono vietati, quali comparti del commercio verranno interessati dal provvedimento e le modalità di applicazione di meccanismi sanzionatori.
In attesa di ulteriori sviluppi restano quanto mai validi gli obiettivi e la battaglia che la campagna Porta la Sporta, con il supporto del suo sito conduce da oltre 18 mesi con attività di comunicazione capillare verso tutti gli enti locali italiani: comuni, provincie, regioni, ma anche nei confronti dei gruppi della grande distribuzione, associazioni del commercio e singoli cittadini.
Non è un caso che il termine “sporta” venga ora usato anche nelle regioni italiane dove era precedentemente sconosciuto.
L’obiettivo primario della Campagna Porta la Sporta è quello di eliminare progressivamente le soluzioni ‘usa e getta’ quando si hanno a disposizione per lo stesso utilizzo delle soluzioni a più basso impatto ambientale. L’usa e getta più impattante è quello prodotto con la plastica, un materiale che come ormai tutti sanno non si biodegrada e che rispetto all’uomo ha una vita ‘eterna’.
Il sacchetto, che non è certamente il nemico numero uno per l’ambiente, rappresenta però l’emblema del nostro consumismo e l’oggetto più presente del nostro quotidiano che accompagna tutti i nostri acquisti. Allo stesso tempo è l’oggetto di cui possiamo fare più facilmente a meno dotandoci di una serie di borse riutilizzabili. La campagna Porta la Sporta a partire dal racconto sul sacchetto di plastica vuole far ragionare sull’uso improprio della plastica nell’usa e getta e sull’assurdità di andare a sprecare energia e risorse preziose per soddisfare comodità momentanee e compromettere il futuro delle generazioni a venire.
Il consumismo è riuscito a farci considerare normale e di inderogabile necessità la presenza nel nostro quotidiano di centinaia di oggetti usati per pochi minuti, ma anche qualche giorno o settimana, che, quando smaltiti, permangono per centinaia di anni nell’ambiente o nelle discariche: liberando sostanze chimiche potenzialmente tossiche per la salute animale e umana o, quando bruciate, producendo tossine e nano polveri.
Per non parlare dei mari e degli oceani ridotti a discariche dove vaste aree vengono denominate dai ricercatori marini plastic soup minestroni più o meno densi di oggetti o frammenti di plastica di varia misura che si scompongono lentamente sino ad arrivare alle dimensioni del plancton. In vaste aree degli oceani le particelle di plastica superano come quantità il plancton di almeno sei volte e nelle zone più inquinate si arriva a 30-40 volte, come documentano le ricerche della Fondazione marina Algalita di Charles Moore.
La plastica con i suoi componenti tossici ‘originali’, a cui si aggiungono altre sostanze chimiche disperse nelle acque che la plastica assorbe e concentra in sé, è già entrata nella nostra catena alimentare e nei nostri organismi con tutta una serie di evidenti conseguenze sulla salute.
Abbiamo sprecato e fatto le cicale per quasi 50 anni comprando oltre il necessario, adescati dalle sirene del marketing al servizio di quell’economia che doveva crescere vendendo sempre più beni: adesso non possiamo pretendere che non ci venga presentato il conto.
Nel corso del 2010 siamo arrivati ad esaurire, già ad agosto, le risorse che la terra è in grado di produrre in un anno. Non possiamo pertanto ignorare che i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità e la carenza di cibo e acqua non siano chiari segnali del fatto che non potremo più continuare a consumare ‘a credito’ senza conseguenze. Lo ha denunciato il Global Footprint Network che promuove la sostenibilità ambientale attraverso il calcolo dell’impronta ecologica, uno strumento di contabilità ambientale che misura le risorse naturali disponibili e quante ne usiamo.
La battaglia al sacchetto di plastica, attiva in diverse parti del mondo, si sta indirizzando, (soprattutto in California), verso un divieto del sacchetto di plastica e una parallela tassazione dell’alternativa più gettonata negli USA, il sacchetto di carta.
In questo modo sembra essere possibile aggirare eventuali ricorsi legali che sono stati intentati dall’industria della plastica contro diverse cittadine californiane che hanno emesso un divieto. I ricorsi presentati infatti erano per lo più basati sulla contestazione che il sacchetto di carta, (l’opzione permessa), fosse l’alternativa più ecologica. Penalizzando economicamente il monouso in California si dimostra di non favorire un puro passaggio a un altro materiale ‘usa e getta’ ma di puntare a una soluzione riutilizzabile centinaia o migliaia di volte, quella soluzione che gli studi di impatto ambientale o di analisi LCA identificano come la più ambientalmente conveniente.
Nonostante il divieto per i sacchetti di plastica si riveli un passo necessario nella maggior parte degli stati come l’Italia (dove l’esempio dell’Irlanda che ha ridotto il consumo del 90% con una tassazione dei sacchetti non ha fatto proseliti) è necessario che venga accompagnato da una serie di misure di supporto che vadano a promuovere le soluzioni riutilizzabili rispetto all’usa e getta.
Tra le azioni possibili c’è la sensibilizzazione e l’educazione dei cittadini per renderli consapevoli, attraverso l’informazione, su quelle che sono le conseguenze ambientali di quelle azioni quotidiane.
Apparentemente banali, e inconsciamente improntate al consumismo, moltiplicate per miliardi di individui, sono responsabili di danni globali come l’inquinamento da plastica. Allo stesso tempo si debbono offrire ai cittadini che vogliono ridurre la propria impronta ecologica quei suggerimenti e quelle soluzioni alternative di consumo consapevole che siano di facile adozione e a portata di mano.
Su questo fronte si è mossa e distinta la campagna Porta la Sporta coinvolgendo enti locali, associazioni, scuole, gruppi della grande distribuzione, ecc., in diverse iniziative finalizzate ad una riduzione nel consumo del sacchetto.
Ma i tempi dell’educazione e della conoscenza sono necessariamente lunghi e non essendoci troppo tempo da perdere vanno valutate allo stesso tempo delle misure che, facendo leva sul portafoglio, raggiungano anche i soggetti meno recettivi.
Prevedibile, oltre che augurabile, è il fatto che i consumatori passino gradualmente all’utilizzo della borsa riutilizzabile nei supermercati dopo aver realizzato che il sacchetto biodegradabile costa almeno il doppio ed è più fragile di quello di plastica. Meno automatico,l invece, si rivelerà il passaggio proprio in quei luoghi dove vengono smerciate grandi quantità di sacchetti: nei negozi e nei mercati rionali.
Tanti esercenti in mancanza di iniziative comuni e condivise si limiteranno a inserire nei costi di esercizio, e quindi nei prezzi, i maggiori costi che l’approvvigionamento dei sacchetti biodegradabili comporta. Sopravviverà così al divieto, nell’immaginario dei consumatori, l’illusione di avere il sacchetto gratis: proprio il malinteso che ha alimentato nei decenni la crescita smodata del consumo di sacchetti.
Porta la Sporta ha sollecitato le sedi locali delle associazioni del commercio ad aderire alla campagna invitando i loro associati a visitare il sito dell’iniziativa, a prendere spunto dai suggerimenti e consigli a disposizione, a scaricare i materiali (come volantini e locandine) allo scopo di perseguire una scelta di trasparenza e correttezza: informando la clientela sull’impatto dell’usa e getta, promuovendo l’utilizzo della sporta e trovando sistemi efficaci per ridurre il consumo del sacchetto tra cui anche addebitarne il costo al cliente.
A questo approccio che, rispetto all’applicazione di un puro divieto, prevede un coinvolgimento degli esercizi commerciali e la partecipazione attiva dei cittadini sollecitati a sposare delle nuove abitudini, hanno creduto le Amministrazioni di Venezia e Firenze che hanno adottato la nostra campagna.
Per liberarsi del peso economico e ambientale dell’imballaggio non c’è che la strada della sua eliminazione ovunque possibile, le tre erre diventano almeno quattro perché ancor prima di RIDUCI, RIUSA, RICICLA c’è RIFIUTA.
Il 25 dicembre è entrato in vigore il D.Lgs n. 205/2010 che recepisce l’ultima normativa europea di gestione dei rifiuti che indica come priorità la prevenzione del rifiuto e cioè la sua non produzione. Se gli italiani non riescono a fare a meno di utilizzare sacchetti monouso, che rappresentano lo spreco e il rifiuto più facilmente evitabile, per motivazioni superficiali che vanno dalla pigrizia, all’assuefazione alle comodità, alla mancanza di organizzazione, come si può pensare che possano essere pronti ad altre azioni necessarie per poter ridurre l’impatto ambientale degli attuali stili di vita e contribuire a ridurre le emissioni di Co2 in modo importante?
Nel corso del mese di gennaio 2011 avverrà il lancio della seconda edizione della Settimana Nazionale Porta la Sporta promossa dall’Associazione dei Comuni Virtuosi, WWF, Italia Nostra, Touring Club Italiano e con l’adesione del Coordinamento Agende 21, e di Rifiuti 21 Network.
L’evento, alla sua seconda edizione, coinvolgerà un ampio fronte di soggetti costituito da enti locali, aziende, gruppi della grande distribuzione, associazioni dei consumatori e del commercio, singoli negozi e cittadini e andrà a ribadire l’importanza di intraprendere insieme un percorso sostenibile che elimini lo spreco di risorse e di energia dalla prassi quotidiana.

mercoledì 12 gennaio 2011

Prendi il mondo tra le mani!

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