mercoledì 20 luglio 2011

Rivolta per le bollette dell'acqua

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Le associazioni dei cittadini chiedono all´Ato di togliere dalla bolletta la remunerazione dei privati e minacciano una class action. Sollecitano anche la legge regionale sull´azionariato popolare.
di Ernesto Ferrara*
Rivolta per le bollette dell´acqua. L´Ato, l´autorità d´ambito per il settore idrico, ha sancito che le prossime bollette potranno mantenere la remunerazione del socio privato al 7 per cento: come se il referendum di giugno, che ha spazzato via l´«adeguata remunerazione del capitale» per le Spa dell´acqua, fosse stato tutto uno scherzo. E Federconsumatori e i comitati per l´acqua bene comune sono già sul piede di guerra. Spingono perché la Regione acceleri il percorso di ripubblicizzazione dell´acqua attraverso l´azionariato popolare. E chiedono all´Ato di eliminare il 7 per cento per i privati dalla tariffa applicata ai cittadini dicendosi pronti anche a ricorrere, in caso ciò non avvenisse, «al giudice amministrativo».
«Il risultato del voto referendario non può essere vanificato né aggirato con piccoli aggiustamenti formali che non incidano concretamente sulle criticità più volte denunciate e che il voto ha rafforzato», denuncia Federconsumatori. Che chiede di «incoraggiare, attraverso una legislazione regionale, la partecipazione diretta dei cittadini all´azionariato popolare, e sperimentare la costituzione di forme cooperative di utenti, con l´obbiettivo di consolidare e rafforzare il principio della gestione di “bene pubblico”». «E´ essenziale un´accelerazione nel percorso di definizione della legge di riforma preannunciata dalla Regione, che dopo il referendum assume un ruolo centrale negli interessi dei cittadini e per superare ritardi e localismi che ancora oggi bloccano una riforma degna di tale nome», aggiunge pure Federconsumatori, convinta che in Toscana si possano sperimentare «forme innovative degli assetti di governance con la previsione di strumenti di controllo – comitati di sorveglianza – che coinvolgano i soggetti della rappresentanza degli interessi degli utenti» e che «la costituzione di holding paventata da più parti rischia di essere solo un´operazione di carattere finanziario che allontana i cittadini».
Ad un mese dal referendum che ha spalancato le finestre al «vento nuovo» le bollette che ci arriveranno a casa potrebbero sancire il «tradimento del voto»: «Abbiamo chiesto un parere all´Autorità di ambito e la risposta è stata inequivocabile: “Appare ragionevole che si continuino ad applicare all´utenza le tariffe approvate ai sensi dell´attuale normativa”», spiegò nei giorni scorsi il presidente di Publiacqua Erasmo D´Angelis. Ma il comitato fiorentino per i due sì per l´acqua bene comune si oppone: «I Comuni soci dell´Ato 3 convochino immediatamente un´assemblea aperta alla cittadinanza», chiedono Roberto Spini e Fabiana Fabbri, portavoce dei comitati per Firenze e Prato. Se l´Ato non dovesse accogliere l´appello, i comitati sono già pronti ad adire le vie legali, a cominciare da una «class action».

*Repubblica Firenze

10 anni dai fatti di Genova

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Lettera aperta al Presidente della Repubblica Italiana
Signor Presidente,
varie – ci sono le inchieste in corso, aspettiamo il giudizio di primo grado, poi di secondo grado, poi di terzo grado… – rifiutando, con vigliaccheria, una seria assunzione di responsabilità.
Continuo a pensare, come il procuratore generale, che le scuse alle vittime degli abusi, e a tutti i cittadini, non possano tardare oltre. Ora è l’ultima occasione per rimediare a un’omissione che ha menomato la credibilità delle istituzioni democratiche italiane. Questa settimana, saranno a Genova molte delle vittime italiane e straniere di quegli abusi, persone che hanno collaborato lealmente con la magistratura italiana, testimoniando davanti ai giudici e partecipando ai processi come parti civili; sono persone che meritano il ringraziamento delle nostre istituzioni.
E’ arrivato il momento che Lei, il presidente della Repubblica, dica una parola chiara e chieda scusa a nome dello stato, è una questione, ormai, di dignità delle istituzioni.
Quanto alle mancate dimissioni (e le numerose promozioni) di chi aveva ed ha tuttora ruoli di alta responsabilità, nonostante le condanne in primo e secondo grado, è legittimo chiedersi: “che polizia abbiamo?”. La mia risposta è che abbiamo una polizia, a partire dal vertice, che ha mancato di rispettare i propri obblighi morali e civili di fronte ai cittadini ed alla Costituzione. Un vertice di polizia che ha perduto ogni credibilità.
La nostra Carta fondamentale all’articolo 54 dice: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche ha
tra pochi giorni sarà il decimo anniversario dei fatti di Genova, luglio 2001.
In questi lunghissimi dieci anni ho scritto molte lettere: ai Presidenti della Repubblica, ai Presidenti del Consiglio, ai ministri, ai parlamentari, che si sono succeduti.
Sollecitando risposte, prese di posizione, di fronte agli abusi compiuti dalle forze di Polizia in quei giorni ed ampiamente documentate e provate dai processi e dalle sentenze in merito ai fatti di strada, alle violenze perpetrate alla Scuola Diaz ed a Bolzaneto.
Non ci sono mai state risposte e questa è l’ultima lettera che scriverò, la mia mano è stanca e la mia voce quasi afona.
Il procuratore generale di Genova: Luciano Di Noto, in un’intervista, ha detto parole molto chiare sul comportamento tenuto dalle istituzioni pubbliche in merito agli abusi di potere, i falsi, le calunnie, le violenze attribuiti alle forze di polizia durante il G8 di Genova. Sono parole importanti, dato il ruolo e il prestigio personale di chi le ha pronunciate.
Secondo Luciano Di Noto, di fronte ai fatti avvenuti alla scuola Diaz e nella caserma di polizia di Bolzaneto, qualcuno doveva chiedere scusa e chi aveva alte responsabilità doveva dimettersi.
Da anni chiedo le stesse cose – scuse e dimissioni – ma nessuno, ai vertici dello stato, ha mai avuto il coraggio di dare una risposta. Si è fatto finta di non sentire, di non sapere, si sono accampate le scuse più nno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.
In questi dieci anni concetti come onore, responsabilità, lealtà istituzionale sono rimasti ai margini, arrecando un grave danno alle nostre istituzioni. Se qualcuno, a partire da Lei, vuole impegnarsi per rimarginare la ferita aperta nel luglio 2001, diventata una piaga purulenta nel decennio seguente, è ora che si faccia avanti.
Enrica Bartesaghi
Presidente Comitato Verità e Giustizia per Genova
http://www.veritagiustizia.it/
da l'Altracittà, giornale delle periferie

sabato 16 luglio 2011

SUBITO L'ACQUA PUBBLICA!!!

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Novità sul trasporto pubblico locale

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Nel prossimo consiglio comunale di San Casciano del 18 luglio si discuterà l'adesione del comune di San Casciano alla convenzione tra Regione Toscana, province e comuni per l'esercizio associato delle funzioni in materia di trasporto pubblico locale.
La convenzione è finalizzata alla gestione del servizio in un unico ambito regionale attraverso l'affidamento tramite gara unica. Tutto potrà succedere...anche che il trasporto pubblico nel Chianti venga gestito in futuro da una multinazionale...E i comuni sempre meno partecipi della gestione del servizio e il servizio sempre più lontano dal controllo dei territori e della collettività.
Ma non c'è stato un referendum il 12-13 giugno scorso? Il voto popolare ha dato chiara indicazione  chiedendo un percorso trasparente per la gestione pubblica dei servizi locali. Infatti l'abrogazione dell'art.23 bis del decreto Ronchi permette la gestione “in house”, cioè pubblica, di acqua, rifiuti e autobus. I comuni sono liberi di scegliere che fare.
Sarebbe giusto partire da questo e provare a fare considerazioni rispettose dell'esito referendario.
E' necessaario che, in attesa di una nuova legge nazionale, sul territorio si fermino tutti i processi di riforma della gestione dei servizi, a partire dalle gare di ambito per i rifiuti, di quella unica regionale per il trasporto pubblico e del processo di aggregazione dei gestori del servizio idrico.
Niente di tutto ciò sta avvenendo con questa convezione della Regione Toscana, nessun approfondimento, non c'è tempo per discutere, si chiede ai comuni l'approvazione... punto e basta!
E la gestione in ambito regionale con affidamento attraverso gara aperta non dà alcuna certezza di efficienza, risparmio, investimenti per migliorare la qualità del servizio dei trasporti. Ci dicono che è indispensabile per fronteggiare i tagli dei trasferimenti statali alla Regione. Giusto, i tagli ci sono, ma occorre scegliere quale sia lo strumento giusto per far fronte alla situazione.
Dopo i referendum le Amministrazioni ad ogni livello dovrebbero iniziare un percorso che permetta la gestione pubblica e partecipata dei servizi essenziali, rimettendo in discussione la logica di mercato e lo spirito aziendalista. Un nuovo governo partecipato dei beni comuni (quindi anche del nostro trasporto locale), capace di coinvolgere in modo diretto utenti e lavoratori, una gestione legata al territorio (quindi in mano ai nostri Comuni), e non a quelli di altre province o regioni magari attraverso grandi società quotate in Borsa. Da qui dovremmo partire, come sostenevano i promotori dei referendum. Questa convenzione non ci sembra proprio che vada in questa direzione.
E l'Amministrazione di San Casciano? Vuol guardare avanti, impegnarsi a non tradire lo spirito del referendum o continuerà a privilegiare l'unico “fronte” del pedaggiamento dell'Autopalio?

Consiglio Comunale 18 luglio 2011: mozione sull'inceneritore di Testi e il nuovo piano interprovinciale di gestione dei rifiuti

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Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista presentano al prossimo Consiglio comunale del 18 luglio 2011  una mozione sull'inceneritore di Testi e il nuovo piano interprovinciale di gestione dei rifiuti.

il testo della mozione

Consiglio Comunale 18 luglio 2011: interrogazione sulla gestione del servizio idrico integrato

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Laboratorio per un'altra San Casciano-Rifondazione Comunista presentano al prossimo Consiglio comunale del 18 luglio 2011  un'interrogazione sulla gestione del servizio idrico integrato.

il testo dell'interrogazione

Dopo i referendum i beni comuni tornano in discussione in consiglio comunale a San Casciano

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Laboratorio per un'altra San Casciano-Rifondazione Comunista presentano al prossimo Consiglio comunale del 18 luglio 2011  un'interrogazione sulla gestione del servizio idrico integrato e una mozione sull'inceneritore di Testi e il nuovo piano interprovinciale di gestione dei rifiuti.

La battaglia di civiltà per l'acqua e per una gestione dei rifiuti improntata al rispetto delle risorse, dei territori e della salute  sono valori primari che si inseriscono in un orizzonte  più vasto: quello della tutela dei diritti e dei beni comuni.
Con i referendum 26 milioni di donne e di uomini di questo paese hanno deciso: la gestione dell'acqua deve essere pubblica e sull'acqua non si possono fare profitti.
In Toscana e a San Casciano, quindi, i cittadini hanno bocciato il modello di gestione rappresentato da   Publiacqua, già privatizzata al 40% da un centro sinistra  che nella nostra Regione ha voluto una gestione dell'acqua di stampo privatistico. A quel modello di gestione dei servizi la maggioranza degli cittadini sancascianesi ha detto no. E' stata sonoramente sconfitta la cultura del liberismo, dell'individualismo e del consumismo, l'idea che l'intera vita delle persone debba essere assoggettata al mercato.
Publiacqua, dunque, deve tornare ad una gestione pubblica, trasparente e partecipata dalle comunità locali. A tal fine si deve convocare l'assemblea dei sindaci dell'Ato3, aperta alla partecipazione dei cittadini e dei comitati, per definire immediatamente i tempi e i modi di ripubblicizzazione del servizio e l'immediata riduzione della bolletta del 7%, quella remunerazione del capitale privato che è stata abrogata dal referendum.
Chiediamo al Sindaco e alla Giunta di San Casciano come intendono rispettare l'esito referendario e quali proposte sosterranno per non tradire le aspettative dei cittadini.
Anche la gestione privatistica del ciclo dei rifiuti è stata rimessa  in discussione dai referendum. E’ in dirittura d'arrivo il nuovo piano interprovinciale dei rifiuti per le province di Firenze, Prato e  Pistoia. Ci pare necessario che le forze politiche, anche in sede istituzionale, si esprimano chiaramente e dicano se hanno la volontà di cambiare l'attuale pianificazione tutta centrata sulla combustione dei rifiuti ed esprimere quindi la volontà di presentare un nuovo piano improntato al rispetto dei territori e delle popolazioni, che  scelga di valorizzare i materiali e non bruciarli con conseguente danno alla salute ed anche notevole perdita in termini economici.
Nel Chianti vediamo una crescente opposizione delle popolazioni locali alla previsione dell'inceneritore a Testi, l'Amministrazione di Greve in Chianti ha chiesto una moratoria per l'impianto finalizzata alla necessità di riscrivere il piano dei rifiuti abbandonando il binomio inceneritori-discariche. Invece in Sindaco di San Casciano con una posizione di assoluta retroguardia continua a sostenere l'inceneritore a Testi.
Con la nostra mozione vogliamo rimettere al centro della discussione la necessità e l'urgenza di abbandonare la scelta della combustione dei rifiuti per avviare una pianificazione centrata sulla riduzione, il riuso e il riciclo della materia  prevedendo l'utilizzo delle risorse economiche in centri di riciclo, raccolta porta a porta in area vasta e nell'incentivazione economica dei cittadini, imprese e comuni virtuosi che permetterebbe il rilancio di tutta la filiera con un conseguente indotto importantissimo per creare nuovi posti di lavoro. Partendo da queste premesse  chiediamo che l'Amministrazione di San Casciano si impegni nella ridefinizione del nuovo Piano Interprovinciale dei Rifiuti a partire dalle necessità impiantistiche precedentemente previste e quindi a partire dall'annullamento dell'inceneritore a Testi.
La gestione di un bene di vitale importanza come l'acqua e di un servizio strategico come quello del ciclo dei rifiuti rappresentano scelte fondamentali per la nostra collettività, le forze politiche dicano chiaramente in quale direzione vogliono andare.

Mozione di Laboratorio: acqua pubblica e no all'inceneritore di Testi

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Il Nuovo Corriere di Firenze, 15 luglio 2011

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mercoledì 13 luglio 2011

La vittoria dei referendum e i nostri beni comuni

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Che cosa lega un’oliveta alla Romola e l’inceneritore del Chianti ai referendum? Il 12 e 13 giugno in Italia e a San Casciano la partecipazione popolare e il voto per il SI hanno fatto vincere la difesa dei beni comuni e dei diritti collettivi: oltre il 69% degli elettori sancascianesi hanno detto no alla privatizzazione dell’acqua, hanno chiesto il diritto alla salute e alla sicurezza (contro la scelta nucleare) e hanno proclamato la uguaglianza dinanzi alla legge come valore non negoziabile.
Il dato è tanto più significativo se pensiamo al fatto che la raccolta delle firme e la campagna referendaria hanno visto la quasi totale assenza dei grandi partiti, con il PDL che per non risultare sconfitto ha lasciato “libertà di coscienza” e con il PD che si è ricordato strumentalmente del voto solo poche settimane prima e si è pronunciato per il Si scansando una seria discussione interna con il settore filonucleare e con i propri amministratori pubblici delle partecipate (che a livello locale hanno fatto pubblicamente campagna per il NO a partire proprio dal presidente di Publiacqua).
Noi pensiamo che questo voto rappresenti una sconfitta per quella cultura liberista e della deregulation che ha trovato in Italia incarnazione a livello nazionale nel cosiddetto “berlusconismo”, ma che a livello sia locale sia nazionale ha però contagiato anche il centro-sinistra: la svendita dei BENI COMUNI, la privatizzazione del servizio idrico, la distruzione del paesaggio per fare cassa con la cementificazione, sono purtroppo pratiche comuni e diffuse dell’attuale maggioranza che anche a San Casciano abbiamo tentato di contrastare.
Il voto dei cittadini, e di larga parte dell’elettorato di centro sinistra, dovrebbe portare ad una riflessione profonda e ad una rimessa in discussione di tali pratiche se davvero i partiti vogliono recuperare un rapporto con un elettorato sempre più deluso e scollato dalle scelte delle segreterie e degli apparati.
Ricordiamo la scelta scellerata, sottoscritta anche dall'Amministrazione di San Casciano, di far entrare in PUBLIACQUA la multinazionale SUEZ (attraverso ACEA di Roma), che ha di fatto privatizzato il nostro gestore dell’acqua pubblica. Noi proveremo oggi a rimettere in discussione questa scelta, forti del voto referendario, e chiederemo anche che non sia più caricato in bolletta quell’utile garantito del 7% sconfitto dal referendum. Purtroppo quel che vediamo è l'opposto delle aspirazioni collettive: si persevera in una logica di PRIVATIZZAZIONE dei beni comuni e non si considera prioritario il diritto alla salute e all'ambiente. Sconcerta che a pochi giorni dal voto, il sindaco Pescini abbia ribadito in una intervista la sua scelta ultra ideologica a favore dell’inceneritore del Chianti contro l’evidenza dei dati scientifici (sulla insalubrità di tali fabbriche di tumori) ed abbia  schierato la sua maggioranza contro i cittadini della Romola che, con una osservazione ben argomentata, hanno tentato di impedire la svendita di un terreno donato da privati alla amministrazione comunale con il vincolo di farne un giardino pubblico. Quella oliveta tra via della Liberazione e via Treggiaia verrà sbancata, gli olivi scompariranno insieme probabilmente al bel muro a retta in pietra per fare dei parcheggi e su quei terreni si realizzeranno tre villette con giardinetto privato (“inserite nel paesaggio” che hanno distrutto). Si fa cassa svendendo beni di tutti, distruggendo il paesaggio, sottraendo alla comunità locale spazi pubblici e bellezza.
L’opposto di quel che hanno chiesto trasversalmente agli schieramenti politici milioni di elettori, e che potrebbe stare a fondamento di una alternativa vittoriosa al liberalismo catastrofico che ci ha regalato l’attuale crisi mondiale.

martedì 12 luglio 2011

Manovra economica e speculazioni finanziarie: il commento di Guido Viale

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Uragano in arrivo
di Guido Viale

Tanto tuonò che piovve. Messa a confronto con la potenza della finanza internazionale, la situazione dell’Italia si rivela ormai ben poco differente da quella della Grecia. Non importa che i cosiddetti «fondamentali» dell’economia siano differenti. La finanza internazionale ha ormai la forza e gli strumenti, se lo volesse, per mettere alle corde persino la Germania. È da mesi che gli economisti lo sanno (o lo temono). Ma non lo dicono, per scaramanzia. Al massimo lo accennano: ma solo per chiedere più lacrime (le loro: di coccodrillo) e più sangue (quello di chi non ne ha quasi più).
Il problema è che non sanno che altro dire. Mario Draghi, per esempio, ha affermato che non ci sono precedenti di fallimento (default) di uno Stato da cui trarre insegnamenti. Intanto non è vero e, vista la posizione che andrà a occupare, sarebbe meglio che anche lui – e non solo lui – studiasse meglio il problema. Perché non c’è solo la Grecia, né solo gli Stati membri più deboli – i cosiddetti PIGS, a cui ora si è aggiunta anche l’Italia: PIIGS – a essere a rischio. Persino Obama teme il default: e non ha solo il problema, anche lui, dei tagli di bilancio: tra un po’ deve rinegoziare una fetta di debito e potrebbe non trovar più sottoscrittori disponibili come un tempo, poi deve confermare l’ultimo stock di moneta creata dal nulla: una cosa (che adesso si chiama quantitave easing) con cui gli Stati Uniti hanno dominato l’economia mondiale per sessant’anni, ma che non è detto gli riesca ancora. Neanche la Francia naviga in buone acque. E la Germania, locomotiva d’Europa, vive di export verso il resto del continente e verso la Cina. Ma se metà dei paesi membri dell’Ue sarà messa alle strette la bonanza tedesca potrebbe finire. E neanche la Cina va più tanto bene: scioperi, rivolte, aumenti salariali vertiginosi, inflazione, «bolle» finanziarie. Ben scavato vecchia talpa, direbbe Marx. Se sullo sfondo non ci fosse una crisi ambientale di dimensioni planetarie. Insomma: non c’è «aria di crisi». C’è un uragano in arrivo. Per mesi gli economisti hanno trattato Tremonti come un baluardo contro il default del paese: solo perché lui sostiene di esserlo. Ma è un ministro – il secondo della serie – che non si accorge nemmeno che la casa dove abita viene pagata, vendendo cariche pubbliche a suon di tangenti, da una persona con cui (e con la cui compagna) lui lavora da anni gomito a gomito. Affidereste a quest’uomo i vostri risparmi?
Qualcuno però ha trovato la soluzione: azzerare tutto il deficit pubblico subito. “Lacrime e sangue” ora e non tra due anni: così Perotti e Zingales sul IlSole24ore di sabato scorso. Tagliare subito pensioni, sussidi alle imprese, costi della politica; e giù con le privatizzazioni. Che originalità! Segue un bell’elenco di “roba” – aziende e servizi pubblici – da vendere subito (per decenza non hanno citato anche l’acqua). Per le manovre “intelligenti”, aggiungono gli autori, non c’è tempo. Infatti la loro proposta non è una manovra intelligente. Intanto, in queste condizioni, vendere vuol dire svendere. E azzerare il deficit non è possibile, perché poi, anche se non si emettono nuovi titoli, bisognerà rinegoziare quelli in scadenza; i tassi li farà la finanza con le sue società di rating; e non saranno certo quelli di prima. Così il deficit si ricrea di continuo, in una rincorsa senza fine. Prima o dopo il default arriva. Naturalmente, per mettere alle corde pensionati, lavoratori e welfare, e svendere il paese, ci vuole il “consenso”, ci avvertono gli autori. Per loro il consenso è il “coinvolgimento dell’opposizione”. Forse ci sarà; ma non servirà a niente.
Perché il consenso è un’altra cosa: è il coinvolgimento delle donne e degli uomini che hanno animato l’ultima annata di resistenza nelle fabbriche, di mobilitazioni nelle piazze, di occupazione di scuole e università, di campagne referendarie, di elezioni amministrative, di processi molecolari per ricostruire una solidarietà distrutta dal liberismo e dal degrado politico, morale e culturale del paese. E’ il popolo degli indignados, che ormai, con i nomi e le proposte più diverse, ha invaso la scena anche in Italia: forse con una solidità persino maggiore, dovuta a una storia più lunga, che risale indietro nel tempo, fino al G8 di Genova; e forse anche a prima. Un popolo che quel consenso non lo darà mai.
Se per Perotti e Zingales il problema è “far presto”, per altri economisti continua invece a essere la crescita: non quella che permette di ricostituire redditi e occupazione strangolati; ma quella necessaria per ricostituire un “avanzo primario” nei conti pubblici, con cui azzerare il deficit e cominciare a ripagare il debito ai pescecani della finanza internazionale; ben nascosti dietro chi ha investito in Bot qualche migliaia di euro. Questi economisti li rappresenta tutti Paolo Guerrieri sull’Unità del 10.7: “Il paese è fragile – spiega – ma la ricetta per la crescita la conosciamo tutti”. E qual è? “Concorrenza, nuove infrastrutture (il Tav?), ricerca (di che?), liberalizzazione (forse voleva dire “privatizzazione”) dei servizi (anche dell’acqua?). Cose che sappiamo – aggiunge – ce l’hanno consigliate tutti”. Paolo Guerrieri ha appreso questa ricetta dall’economia mainstream e probabilmente continuerà a insegnarla ai suoi allievi per tutto il resto della sua vita. Pensa che per tornare alla crescita, che per lui è la “normalità”, basti premere un bottone; perché il disastro attuale è solo una sua momentanea interruzione: non si sa se dovuta agli “eccessi” della finanza o all’inettitudine di Berlusconi.
Ma le cose non stanno così. In un mondo al cappio, è la finanza internazionale che fa le “politiche economiche”. Quelle che vedete. Gli Stati non ne fanno più; o ne fanno solo più quel poco che la finanza gli permette di fare; a condizione di poter continuare a speculare e a mandare in malora il pianeta. Anche “la crescita”, ormai, le interessa solo fino a un certo punto; se non c’è, poco male: per lo meno finché restano pensioni, salari, welfare, servizi pubblici e beni comuni da saccheggiare. Non è la prima volta nella storia che questo succede. Anche Luigi XIV, il Re Sole, diceva: dopo di me, il diluvio.
Adesso sta a noi – a tutti gli “indignati” che non accettano questo stato di cose e questo futuro – ricostruire dal basso quello che Stati e Governi non sono più in grado di promuovere; e nemmeno di concepire. Cioè il progetto di una società, di un sistema produttivo e di modelli di consumo condivisi, più equi, più sobri, più efficienti, più onesti; ma soprattutto le strade da percorrere – itinerari mai tracciati – per realizzarli. E tutto in un mondo che sarà sempre più – e a breve – cosparso di macerie: sociali, ambientali e morali. Ma anche di reazioni furibonde e, verosimilmente, violente (basta pensare all’occupazione militare della Valle di Susa per imporre il “loro” modello di crescita; o a quella della Campania per imporre la “loro” gestione dei rifiuti). Non sarà una passeggiata per nessuno.
Un programma per realizzare quel progetto oggi non c’è; e non c’è il “soggetto” – per usare un’espressione ormai logora – per elaborarlo e portarlo avanti. Non a caso. Perché è un programma irrinunciabilmente plurale; che può nascere solo dal concorso di mille iniziative dal basso, se saranno in grado di tradursi in proposte che consentano un coordinamento e se avranno la capacità di imporsi con la forza della ragione e dei numeri. Ci aiuta il fatto che per ciascuno di noi l’agire locale è sempre orientato da un pensiero globale. L’opposto di quello che fanno i Governi e le forze che li sorreggono. Provocano disastri globali in nome di convenienze dettate da un meschino pensiero locale. La disfatta delle cosiddetta governance europea non è altro.
Tra i criteri ispiratori della nostra progettualità c’è innanzitutto un salto concettuale: nell’era industriale lo “sviluppo” economico è stato promosso e diretto dall’aumento della produttività del lavoro. Che è andata talmente avanti che oggi è praticamente impossibile misurare il valore di un bene con la quantità di lavoro che esso contiene, anche se ci sono ancora – e sono tanti – dinosauri come Marchionne che lasciano credere di poter battere la concorrenza tedesca o cinese rubando agli operai dieci minuti di pausa, qualche ora di straordinario, o qualche giorno di malattia. Tutto ciò è avvenuto a scapito dell’ambiente e delle sue risorse, saccheggiate come se non avessero mai fine. Da ora in poi, invece, si tratta di valorizzare le risorse ambientali e renderle sempre più produttive: con la condivisione, la sobrietà, l’efficienza, il riciclo, le fonti rinnovabili, la biodiversità (ecco un modo di distinguere la ricerca che vogliamo dalle vuote declamazioni in suo favore). Perché è dall’uso più accorto delle risorse che dipenderà anche la produttività del lavoro, che non può più essere misurata in giorni, ore, minuti e secondi; ma solo con il grado di cooperazione e condivisione che quell’uso saprà sviluppare.

guidoviale@blogspot.com

sabato 9 luglio 2011

Una domenica di civile indignazione

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5 luglio 2011

di LUCA MERCALLI

Sono appena rientrato dopo 6 ore di marcia a Chiomonte. Incredibile, un serpente umano colorato e festante proveniente da tutta Italia percorreva i boschi verdeggianti della media Valsusa in una giornata calda e luminosissima. La stima minima è di 50.000 persone, quella massima 100.000, fate voi… Statale del Monginevro bloccata e autostrada pure.

In queste ore ancora si sparano lacrimogeni, un teatro osceno per un Paese civile nel museo archeologico del villaggio neolitico della Maddalena di Chiomonte, che la polizia ha usurpato come suo quartier generale. Là, nel punto di contatto tra manifestanti e poliziotti io non sono stato, e qualche ferito c’è, qualche sasso è volato, qualche episodio da deplorare può darsi che ci sia, ma aspettiamo a parlare quando avremo sentito i racconti e visto i video di chi era là… Il 412 della polizia ha volato sopra di noi come fossimo stati in Afghanistan, dalle 8 alle 18 almeno, e sono 100 euro al minuto… io non ci sto, è uno scenario surreale per aprire un cantiere.

Ciò che vi vorrei dire a caldo è:

1) già  ora le prime pagine dei giornali titolano di guerriglia, di black bloc e altre amenità  simili: si tratta di elementi del tutto marginali della giornata, ciò che conta, e che doveva essere oggetto dei titoli, è l’enormità  della gente normale qui confluita, cittadini italiani ed europei, famiglie con bambini, pensionati, professionisti, docenti, medici, artigiani, studenti che da tutta italia (pullman da Pisa, Macerata, Udine, Bologna, Genova…) hanno affrontato levatacce e disagi, per venire a passare una domenica di civile indignazione insieme a noi. Chapeau a tutti loro, che dimostrano come vi sia una presa di coscienza sempre più vasta del problema dei beni comuni e una voglia individuale di “contare” qualcosa sul piano delle scelte. Mi sembra che politica e giornalisti siano terribilmente indietro, impegnati a proteggere i loro privilegi o tremebondi a sperare che il loro servilismo porti una promozione sulla scala sociale. Ma la gente sta correndo più veloce di loro. Ho parlato con centinaia di persone e ne ho tratto una grande impressione di competenza, di coraggio, di onestà , di passione. Altro che black-bloc!

2) tutti hanno ben chiaro, per vivere ogni giorno sulla propria pelle altre simili usurpazioni sui loro territori, che le priorità per il Paese sono altre, che nessuno vuole questi monumenti faraonici ma desidera interventi semplici, evidenti e efficaci sulla quotidianità . Tutti hanno ben chiaro che i tempi stanno cambiando in fretta. Nelle ore di marcia sotto il sole, i discorsi che sentivo fare erano dei rapporti dell’Asia con il mondo occidentale, della crisi delle risorse, dell’opposizione economia capitalistica-benessere, dell’impossibiltà  della crescita continua, della crisi petrolifera… insomma, un campione interessante di pubbliche riflessioni sul presente e sul futuro.

3) speriamo che ognuno di loro stasera su Facebook dica: “C’ero anch’io e vi spiego quali menzogne i giornali e la tv diffondono su di noi e su questa faccenda”.

4) fino al 12 luglio 1980 non c’era il traforo autostradale, quindi sulla ferrovia attuale passavano tutte le merci e i passeggeri per la Francia, inclusa la navetta per le automobili Bardonecchia-Modane. Nel 1980 eravamo forse all’età  della pietra? La ferrovia attuale bastava allora, basterebbe a maggior ragione in un mondo futuro con meno risorse. Ma Chiamparino è al delirio sviluppista e vede il Tav Valsusa come una fede: o il Tav o la terribile decrescita! Allora Tav sia. Aggiungo che un’opera di questo genere avrebbe un overhead di sistema enorme rispetto a opere più semplici e resilienti. In un’epoca postpicco petrolifero, l’imponente infrastruttura tecnologica ed energetica necessaria a garantire la sicurezza di un tunnel di 54 km con temperature interne di oltre 50 C, collasserebbe dopo pochi mesi, anche solo per via dei costi. Vedere Rutilio Namaziano… le mitiche strade di Roma, poco dopo la caduta dell’impero erano impraticabili per mancanza di manutenzione e si preferiva il periglioso viaggio via mare da Roma alla Liguria piuttosto che affrontare il fango dei tratturi maremmani…

5) finanziamento europeo: per ora, a inizio cantiere, si parla di sbloccare 671 milioni di euro, pari a circa il 4,5% del valore del progetto (calcolato dell’ordine dei 15 miliardi di euro, anche qui non ci sono mai numeri trasparenti). In caso di realizzazione successiva, si parla di ulteriore finanziamento EU del 30% della sola tratta internazionale, che escluderebbe quindi i circa 2 miliardi di euro della tratta di adduzione Torino-Chiomonte, interamente a carico italiano. Sono dati vaghi perché è quel poco che si riesce a leggere sui giornali locali. Anche questo fatto dovrebbe indignare tutti: non c’è uno straccio di rapporto ufficiale che faccia chiarezza verso i cittadini. I promotori, che i dati immagino li avranno, con fior di tecnici pagati per far solo quello, tacciono, lasciando tutti noi a baloccarci con stime e supposizioni. Anche questo è strano: se avessero dati seri, certi e inoppugnabili a sostegno dell’opera, non pensate che avrebbero già  convocato una conferenza stampa internazionale, spazzando via ogni nostra chiacchiera? Invece stanno nascosti nelle gallerie, lasciando che la gente si arrabbi, che i politici sfornino la loro retorica, che i pochi come noi che tentano di ragionare si spacchino la testa su dati faticosamente estratti qua e là .

6) la stretta alleanza politica bipartisan, che mostra un tenacissimo blocco favorevole all’opera, è un altro elemento di sospetto. In genere il politico, massimamente quello italico, quando trova un muro invalicabile nei propri affari, lo aggira, scantona, sceglie altri obiettivi più facili, ma non si mette contro una marea montante di rabbia popolare che sta diventando un elemento incognito estremamente instabile. Qui invece sono passati vent’anni di proteste e continuano tutti imperterriti ad andare in rotta di collisione contro il massiccio d’Ambin. Butto là, non è che devono aver fatto tante e tali facili promesse sulla divisione di questa appetitosa torta, che ora qualcuno ha la canna di fucile puntata dietro la schiena se non le mantiene e non paga pegno?

Ciao a tutti dalla Valsusa, qui comunque è una serata ancora molto calda.

Speriamo che serva a qualcosa.

http://www.democraziakmzero.org/2011/07/05/una-domenica-di-civile-indignazione/

Quel che ho visto in Val Susa

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5 luglio 2011

di ANGELA MARY PAZZI *

Ero alla manifestazione No Tav in Val di Susa, sono partita dalle Marche come cittadina che riconosce il valore della parola degli abitanti sul destino dei loro luoghi. Sono consapevole di  essere “di parte”, di avere avuto un punto limitato di osservazione – vista l’estensione della protesta – e di aver vissuto con pathos l’evento e non con la freddezza  e il distacco del  giornalista. Non amo raccontare, ma in treno, di ritorno, da Torino leggo le pagine della Repubblica e dell’Unità e mi indigno.

Si può anche discutere sull’opportunità di fare una manifestazione nazionale in un territorio con quelle caratteristiche dopo gli ultimi eventi  nella Valle, la militarizzazione della zona, l’esasperazione della popolazione. Si deve sicuramente discutere di questo, ma io ho ancora vive le immagini della partenza di un corteo pacifico e della unificazione tra le montagne dei vari rami prima di arrivare alla Centrale elettrica di Chiomonte.

Ho sostato insieme ad altri amici al bivio dove con un megafono un ragazzo informava su quale fosse il percorso ufficiale autorizzato. Ricordo di aver aspettato per avere maggiori informazioni sull’altro percorso, quello che passava da Ramats, e di aver avuto consigli per evitare poi di scendere attraverso sentieri non così accessibili. Ricordo che tanti di noi hanno fatto tranquillamente un pezzo del percorso non autorizzato  per poi tornare indietro alla Centrale.

Un clima tranquillo, un assedio simbolico, qualche tentativo di mettere la bandiera No Tav nella zona recintata.  Nella fase iniziale, alla Centrale, di violento solo le urla e l’ironia contro gli elicotteri e la presenza massiccia della polizia.

Vista la cronaca, e la violenza di alcuni episodi, si può anche discutere ora di questo ma non si possono forzare e piegare troppo gli eventi.  Io c’ero, e mi indigno di fronte ai resoconti che ho letto. Io non ho visto i 2000 “antagonisti”, non ho sentito lingue strane, confesso però che ho visto ragazzi esasperati, alcuni con maschere di protezion,e discutere animatamente con Perino presso la Centrale perché volevano reagire ai primi lacrimogeni.  Ho sentito Perino urlare e argomentare che tutto doveva essere simbolico, che lì la polizia non avrebbe poi fatto nulla.

Si può anche discutere ora della necessità di avere forme di tutela interne al movimento per arginare “i violenti” quando si organizzano manifestazioni nazionali. Ricordo ragazzi, lungo il percorso, invitati dai manifestanti a lasciare bastoni con i quali battevano soltanto per provocare rumore. Non li consideravo così minacciosi, e confesso che ho anche pensato che forse quei cittadini allarmati stessero esagerando.  E’ vero ho visto anche qualche gruppo di ragazzi  che si aggiravano tra i manifestanti, si informavano,  erano diversi per l’aspetto “minaccioso”,  le maschere e l’abbigliamento, ma non ho sentito lingue strane né percepito movimenti organizzati.

Dopo i fatti, ora mi chiedo se un movimento popolare come quello No Tav abbia la possibilità di arginare i violenti, come possa farlo in maniera efficace senza dover ricorrere alla vecchia idea dei servizi d’ordine militarizzati che scortavano i cortei nel passato.  Si può continuare a discutere.  Il movimento No Tav lo dovrà fare, ma ora – da cittadina – penso che quello di arginare i violenti fosse compito delle forze dell’ordine, assenti nel tragitto ma impegnate in forza a difendere il cantiere e a presidiare  l’autostrada.

Si può discutere ora dell’opportunità che Grillo intervenisse in una manifestazione che non era in cerca di leader, si può criticare il  linguaggio “di rivolta”, l’appello  alla “guerra civile”, agli “eroi”, alla “straordinaria rivoluzione”, alle “prove tecniche di dittatura”,  ma non si può dire, come ha fatto la stampa, che il suo discorso incitava gli animi e non distingueva la critica radicale dalla violenza. Ero lì alla Centrale mentre Grillo parlava in mezzo a famigli, bambini ed anziani, nel corso di un assedio  simbolico. Non ho digerito l’associare le parole di Grillo alle foto degli scontri modificandone il contesto e stravolgendo i tempi. Trovo anche questo di una violenza inaudita: quelle parole  reclamano all’informazione il loro contesto.

Si può continuare a discutere di tutte queste cose e lo si deve fare, ma io sono rientrata  con le immagini ancora vive di una enorme folla di cittadini pacifici che hanno sfilato per ore ed ore, con il ricordo della cura con cui le animatrici No Tav lungo il percorso informavano, accompagnavano, consigliavano i partecipanti inesperti sul tragitto ancora da fare, con il ricordo dei momenti critici risolti “discutendo”, con in testa ancora i discorsi ascoltati a Chiomonte  sui rischi di arretramento del movimento, e con le poche brutte immagini  e la sensazione di un finale più “estorto” che voluto.

Sono stata alla manifestazione; non volevo raccontare nulla, ma sono indignata dei resoconti letti e delle dichiarazioni dei politici. Non voglio pensare a complotti, a posizioni pregiudiziali ed ideologiche, voglio per ora pensare che quei resoconti siano solo il frutto della non comprensione, della semplificazione e della poca professionalità.

* Luoghi Comuni: movimento Piceno di democrazia dal basso, San Benedetto del Tronto (Ap)
http://www.democraziakmzero.org/2011/07/05/quel-che-ho-visto-in-val-susa/

martedì 5 luglio 2011

6 luglio: dopo i referendum la prima assemblea del Comitato Referendario 2SI per l'acqua bene comune

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Ci appelliamo alla moltitudine che anche a Firenze ha reso possibile lo straordinario successo del referendum sull’acqua del 13 giugno: quasi 172 mila fiorentini che sono andati alle urne per affermare che l’acqua deve essere pubblica e non essere fonte di profitti e speculazioni. Ci rivolgiamo anche alle migliaia di persone che hanno contribuito a quel meraviglioso processo di partecipazione dal basso basato sull’autoformazione e sulla comunicazione delle ragioni dei due sì per l’acqua bene comune con volantini, social network e in generale con la propria parola trasmessa ad altri.
Sono stati portatori sereni ma determinati di un messaggio inequivocabile, che ha a che fare con la società in cui vogliamo vivere noi e le generazioni che ci seguiranno.
Adesso questa partecipazione che è cresciuta, giorno dopo giorno, per affermare che l’acqua è un bene comune dell’umanità e non una merce, non deve smobilitare. C’è bisogno ancora del contributo di tutti e tutte per difendere la volontà espressa dal voto referendario traducendola in atti concreti da parte dei nostri amministratori locali.
Dopo il referendum si sono create le condizioni normative e politiche per avviare un percorso di ripubblicizzazione della gestione dell’acqua e l’affidamento a un ente che presenti forti caratteri di partecipazione dei cittadini.
Chiediamo ai nostri amministratori che questo percorso coinvolga al massimo la cittadinanza attiva e che trovino uno spazio istituzionale di contributo e confronto le proposte alternative al modello privatistico che i promotori del referendum hanno portato nella campagna referendaria a sostegno delle ragioni dei due sì.
Quanto deliberato dalla giunta del Comune di Napoli dimostra che il risultato del referendum può essere tradotto da subito in atti concreti.
Mobilitiamoci. Continuiamo a informare i cittadini. Chiediamo nostri spazi di partecipazione. Abbiamo aperto tutti insieme una nuova stagione di partecipazione politica che non può essere mortificata dalle istituzioni che ci governano con manovre che fanno rientrare dalla finestra quelle logiche di appropriazione da parte dei poteri forti che abbiamo messo alla porta con il referendum. Continuiamo a farci sentire per affermare quella democrazia diretta che ha riempito i nostri sentimenti e i nostri discorsi per riappropriarci dell’acqua, bene comune dell’umanità.
Ci troviamo allora alla Arena del Parco di Villa Vogel in via Canova a Firenze il 6 luglio 2011 a partire dalle ore 20 in una assemblea pubblica aperta al contributo di tutti per arrivare a costruire un’agenda della nostra azione nel prossimo periodo, a cui chiunque possa partecipare.
Ci sarà da mangiare e da bere. Sarà un momento festoso ma determinato, come sempre abbiamo agito. Vi aspettiamo.
Comitato referendario 2 sì per l’acqua bene comune di Firenze

 

San Casciano Val di Pesa • Gruppo consiliare Laboratorio per un’Altra San Casciano - Rifondazione Comunisti Italiani