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Con il primo gennaio 2011 è entrato in vigore il divieto di commercializzare i sacchetti di plastica
e viene data agli esercizi commerciali la possibilità di esaurire le
scorte a titolo gratuito per il cliente. Il Ministero dello sviluppo
economico ha emesso una recente nota specificando che i sacchetti
biodegradabili permessi sono esclusivamente quelli che rispondono ai
requisiti di biodegradabilità e compostabilità definiti dalla norma
tecnica armonizzata UNI EN 13432.
Non essendo però stati pubblicati
decreti attuativi o circolari informative resta ancora da capire quali
tipologie di sacchi da asporto (con o senza manici) sono vietati, quali
comparti del commercio verranno interessati dal provvedimento e le
modalità di applicazione di meccanismi sanzionatori.
In attesa di ulteriori sviluppi restano quanto mai validi gli obiettivi e la battaglia che la campagna Porta la Sporta, con il supporto del suo sito conduce da oltre 18 mesi
con attività di comunicazione capillare verso tutti gli enti locali
italiani: comuni, provincie, regioni, ma anche nei confronti dei gruppi
della grande distribuzione, associazioni del commercio e singoli
cittadini.
Non è un caso che il termine “sporta” venga ora usato anche nelle regioni italiane dove era precedentemente sconosciuto.
L’obiettivo primario della Campagna Porta la Sporta è quello di eliminare
progressivamente le soluzioni ‘usa e getta’ quando si hanno a
disposizione per lo stesso utilizzo delle soluzioni a più basso impatto
ambientale. L’usa e getta più impattante è quello prodotto con la plastica, un materiale che come ormai tutti sanno non si biodegrada e che rispetto all’uomo ha una vita ‘eterna’.
Il sacchetto, che non è certamente il nemico numero uno per l’ambiente, rappresenta però l’emblema del nostro consumismo
e l’oggetto più presente del nostro quotidiano che accompagna tutti i
nostri acquisti. Allo stesso tempo è l’oggetto di cui possiamo fare più
facilmente a meno dotandoci di una serie di borse riutilizzabili.
La campagna Porta la Sporta a partire dal racconto sul sacchetto di
plastica vuole far ragionare sull’uso improprio della plastica nell’usa e
getta e sull’assurdità di andare a sprecare energia e risorse preziose
per soddisfare comodità momentanee e compromettere il futuro delle
generazioni a venire.
Il consumismo è riuscito a farci
considerare normale e di inderogabile necessità la presenza nel nostro
quotidiano di centinaia di oggetti usati per pochi minuti, ma anche
qualche giorno o settimana, che, quando smaltiti, permangono per
centinaia di anni nell’ambiente o nelle discariche: liberando sostanze
chimiche potenzialmente tossiche per la salute animale e umana o, quando
bruciate, producendo tossine e nano polveri.
Per non parlare dei mari e degli oceani ridotti a discariche dove vaste aree vengono denominate dai ricercatori marini plastic soup
minestroni più o meno densi di oggetti o frammenti di plastica di varia
misura che si scompongono lentamente sino ad arrivare alle dimensioni
del plancton. In vaste aree degli oceani le particelle di plastica
superano come quantità il plancton di almeno sei volte e nelle zone più
inquinate si arriva a 30-40 volte, come documentano le ricerche della
Fondazione marina Algalita di Charles Moore.
La plastica con i suoi componenti
tossici ‘originali’, a cui si aggiungono altre sostanze chimiche
disperse nelle acque che la plastica assorbe e concentra in sé, è già
entrata nella nostra catena alimentare e nei nostri organismi con tutta
una serie di evidenti conseguenze sulla salute.
Abbiamo sprecato e fatto le cicale per
quasi 50 anni comprando oltre il necessario, adescati dalle sirene del
marketing al servizio di quell’economia che doveva crescere vendendo
sempre più beni: adesso non possiamo pretendere che non ci venga
presentato il conto.
Nel corso del 2010 siamo
arrivati ad esaurire, già ad agosto, le risorse che la terra è in grado
di produrre in un anno. Non possiamo pertanto ignorare che i
cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità e la carenza di cibo e
acqua non siano chiari segnali del fatto che non potremo più continuare
a consumare ‘a credito’ senza conseguenze. Lo ha denunciato il Global Footprint Network che promuove la sostenibilità ambientale attraverso il calcolo dell’impronta ecologica, uno strumento di contabilità ambientale che misura le risorse naturali disponibili e quante ne usiamo.
La battaglia al sacchetto di plastica,
attiva in diverse parti del mondo, si sta indirizzando, (soprattutto in
California), verso un divieto del sacchetto di plastica e una parallela
tassazione dell’alternativa più gettonata negli USA, il sacchetto di carta.
In questo modo sembra essere possibile
aggirare eventuali ricorsi legali che sono stati intentati
dall’industria della plastica contro diverse cittadine californiane che
hanno emesso un divieto. I ricorsi presentati infatti erano per lo più
basati sulla contestazione che il sacchetto di carta, (l’opzione
permessa), fosse l’alternativa più ecologica. Penalizzando
economicamente il monouso in California si dimostra di non favorire un
puro passaggio a un altro materiale ‘usa e getta’ ma di
puntare a una soluzione riutilizzabile centinaia o migliaia di volte,
quella soluzione che gli studi di impatto ambientale o di analisi LCA
identificano come la più ambientalmente conveniente.
Nonostante il divieto per i sacchetti di plastica
si riveli un passo necessario nella maggior parte degli stati come
l’Italia (dove l’esempio dell’Irlanda che ha ridotto il consumo del 90%
con una tassazione dei sacchetti non ha fatto proseliti) è necessario
che venga accompagnato da una serie di misure di supporto che vadano a promuovere le soluzioni riutilizzabili rispetto all’usa e getta.
Tra le azioni possibili c’è la sensibilizzazione e l’educazione dei cittadini per renderli consapevoli, attraverso l’informazione, su quelle che sono le conseguenze ambientali di quelle azioni quotidiane.
Apparentemente banali, e inconsciamente
improntate al consumismo, moltiplicate per miliardi di individui, sono
responsabili di danni globali come l’inquinamento da plastica. Allo
stesso tempo si debbono offrire ai cittadini che vogliono ridurre la
propria impronta ecologica quei suggerimenti e quelle soluzioni alternative di consumo consapevole che siano di facile adozione e a portata di mano.
Su questo fronte si è mossa e distinta
la campagna Porta la Sporta coinvolgendo enti locali, associazioni,
scuole, gruppi della grande distribuzione, ecc., in diverse iniziative
finalizzate ad una riduzione nel consumo del sacchetto.
Ma i tempi dell’educazione e della
conoscenza sono necessariamente lunghi e non essendoci troppo tempo da
perdere vanno valutate allo stesso tempo delle misure che, facendo leva
sul portafoglio, raggiungano anche i soggetti meno recettivi.
Prevedibile, oltre che augurabile, è il fatto che i consumatori passino gradualmente all’utilizzo della borsa riutilizzabile
nei supermercati dopo aver realizzato che il sacchetto biodegradabile
costa almeno il doppio ed è più fragile di quello di plastica. Meno
automatico,l invece, si rivelerà il passaggio proprio in quei luoghi
dove vengono smerciate grandi quantità di sacchetti: nei negozi e nei
mercati rionali.
Tanti esercenti in mancanza di
iniziative comuni e condivise si limiteranno a inserire nei costi di
esercizio, e quindi nei prezzi, i maggiori costi che
l’approvvigionamento dei sacchetti biodegradabili comporta. Sopravviverà
così al divieto, nell’immaginario dei consumatori, l’illusione di avere il sacchetto gratis: proprio il malinteso che ha alimentato nei decenni la crescita smodata del consumo di sacchetti.
Porta la Sporta ha sollecitato le sedi
locali delle associazioni del commercio ad aderire alla campagna
invitando i loro associati a visitare il sito dell’iniziativa, a
prendere spunto dai suggerimenti e consigli a disposizione, a scaricare i
materiali (come volantini e locandine) allo scopo di perseguire una
scelta di trasparenza e correttezza: informando la clientela
sull’impatto dell’usa e getta, promuovendo l’utilizzo della sporta e
trovando sistemi efficaci per ridurre il consumo del sacchetto tra cui
anche addebitarne il costo al cliente.
A questo approccio che, rispetto
all’applicazione di un puro divieto, prevede un coinvolgimento degli
esercizi commerciali e la partecipazione attiva dei cittadini
sollecitati a sposare delle nuove abitudini, hanno creduto le
Amministrazioni di Venezia e Firenze che hanno adottato la nostra
campagna.
Per liberarsi del peso economico e
ambientale dell’imballaggio non c’è che la strada della sua eliminazione
ovunque possibile, le tre erre diventano almeno quattro perché ancor
prima di RIDUCI, RIUSA, RICICLA c’è RIFIUTA.
Il 25 dicembre è entrato in vigore il D.Lgs n. 205/2010 che recepisce l’ultima normativa europea di gestione dei rifiuti che indica come priorità la prevenzione del rifiuto
e cioè la sua non produzione. Se gli italiani non riescono a fare a
meno di utilizzare sacchetti monouso, che rappresentano lo spreco e il
rifiuto più facilmente evitabile, per motivazioni superficiali che vanno
dalla pigrizia, all’assuefazione alle comodità, alla mancanza di
organizzazione, come si può pensare che possano essere pronti ad altre
azioni necessarie per poter ridurre l’impatto ambientale degli attuali
stili di vita e contribuire a ridurre le emissioni di Co2 in modo
importante?
Nel corso del mese di gennaio 2011
avverrà il lancio della seconda edizione della Settimana Nazionale
Porta la Sporta promossa dall’Associazione dei Comuni Virtuosi, WWF,
Italia Nostra, Touring Club Italiano e con l’adesione del Coordinamento
Agende 21, e di Rifiuti 21 Network.
L’evento, alla sua seconda edizione,
coinvolgerà un ampio fronte di soggetti costituito da enti locali,
aziende, gruppi della grande distribuzione, associazioni dei consumatori
e del commercio, singoli negozi e cittadini e andrà a ribadire
l’importanza di intraprendere insieme un percorso sostenibile che
elimini lo spreco di risorse e di energia dalla prassi quotidiana.