giovedì 16 febbraio 2012

L'attività del Laboratorio per un'Altra San Casciano continua nella sua programmazione

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Dopo le dimissioni di Lucia Carlesi da consigliere comunale, l'attività del Laboratorio per un'Altra San Casciano continua nella sua programmazione.
Sarà possibile rimanere aggiornati sull'attività del Laboratorio per un'Altra San Casciano a questo indirizzo, nel quale si può trovare l'archivio completo delle attività:

http://laboratorioperunaltrasancasciano.blogspot.com/

Dopo oltre 2 anni e mezzo di attività istituzionale come consigliere di Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista Lucia Carlesi rassegna le sue dimissioni

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Dopo oltre 2 anni e mezzo di attività istituzionale come consigliere di Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista oggi ho rassegnato le mie dimissioni.

Un ringraziamento sincero a tutti coloro che nel 2009 hanno espresso la loro fiducia nei miei confronti e nei confronti della lista di cittadinanza Laboratorio per un'altra San Casciano e Rifondazione Comunista e per l'attenzione con la quale in questi anni avete seguito l'attività istituzionale.
Per me quest'esperienza ha rappresentato un impegno importante e appassionante e resterà sempre viva in me.
Vi invio qui di seguito la lettera con la quale ho rassegnato le dimissioni perché è una breve sintesi del percorso e del lavoro svolto in questi anni.

Un caro saluto e un abbraccio.
Lucia


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Al Presidente del Consiglio Comunale
Al Sindaco
Ai Consiglieri Comunali

Comune San Casciano Val di Pesa


Con la presente lettera rassegno le mie dimissioni, con effetto immediato, dalla carica di consigliere comunale alla quale sono stata eletta a seguito delle elezioni amministrative del giugno 2009.

Ho preso questa decisione dopo un'attenta valutazione e l'ho condivisa con Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista, la coalizione che ho fino ad oggi rappresentato in Consiglio Comunale.

Per me sono stati oltre due anni e mezzo di intensa attività istituzionale; adesso, per maggiori ed inderogabili impegni personali, non ho più le condizioni per poter esercitare il compito conferitomi con il dovuto impegno e con il tempo necessario. Proprio per il rispetto verso il ruolo istituzionale e nei confronti dei cittadini
che hanno avuto fiducia in me e nella coalizione che rappresento, ritengo giusto rinunciare al mandato di consigliere e permettere che altri possano svolgere al meglio questo importante ruolo.

Accettai la candidatura nel 2009 nella convinzione che fosse giusto e necessario anche a San Casciano esprimere una proposta politica alternativa, capace di raccogliere le istanze di quella parte della società che, allora come oggi, sempre più non si riconosceva nei blocco dei partiti del centro sinistra e cercava nuovi spazi di democrazia e partecipazione dal basso per riaffermare valori di equità, giustizia e inclusione sociale, sobrietà e sostenibilità. Una proposta politica di opposizione alle politiche neo liberiste praticate ormai da tempo nel nostro Paese senza distinzione di schieramento, che partendo proprio dai nostri territori fosse capace di indicare un orizzonte nuovo in grado di essere propositivo e adeguato rispetto alla grave crisi economica, sociale, ambientale e culturale che stiamo attraversando: pensare in grande ed agire in piccolo, nella nostra realtà locale.
Da questi presupposti nasce la mia esperienza istituzionale e la rappresentanza della coalizione formata dalla lista di cittadinanza Laboratorio per un'Altra San Casciano e da Rifondazione Comunista. Un progetto ambizioso sul quale il gruppo consiliare ha lavorato con impegno e passione, cercando di aprire un percorso di partecipazione politica vera nelle scelte che hanno riguardato il territorio intervenendo su temi cruciali come l'assetto urbanistico, la gestione dei beni comuni, la tutela della salute e la salvaguardia del territorio. Abbiamo svolto il nostro ruolo di opposizione in modo netto e convinto, spesso in completa solitudine in Consiglio Comunale.

Il lavoro fatto e il riscontro, spesso nuovo e inaspettato, avuto fra i cittadini e l'opinione pubblica ci rendono consapevoli che quanto fatto in questi anni sta dando buoni frutti, oggi è reale, concreta e credibile un'opposizione "da sinistra" a questa Amministrazione.
E' possibile dire che esiste un progetto alternativo rispetto alle scelte che l'Amministrazione sta facendo su tanti aspetti determinanti per la vita della comunità.
E' possibile fermare la privatizzazione dei servizi locali di pubblica utilità e la loro gestione attraverso società per azioni, pensiamo in primo luogo alla ripubblicizzazione del servizio idrico, dando seguito alla volontà espressa dai cittadini nel referendum del giugno scorso.
E' possibile ripensare completamente il Piano Provinciale per lo smaltimento dei rifiuti, scegliendo la riduzione degli stessi, il riciclo e il riuso totale dei materiali e l'abolizione delle tecniche di incenerimento, per una gestione dei rifiuti improntata al rispetto delle risorse, dei territori e della salute.
E' possibile fermare la svendita e la monetizzazione del territorio prevedendo un Regolamento Urbanistico a “consumo zero di territorio” tramite interventi di recupero e ristrutturazione dell'esistente, escludendo la possibilità di edificare occupando nuove superfici.
E' possibile agire e fare politica individuando nuove strade in ogni situazione armati di coraggio e sobrietà, purché il nostro agire sappia mettere al primo posto la difesa del bene comune e non interessi di parte, progettando modi nuovi ed efficaci per migliorare la vita della comunità senza consumare risorse ma anzi preservandole per le generazioni future, facendo proposte concrete, utili ad uscire dalla crisi mettendo al centro la dignità umana, la cura delle risorse naturali.

In un contesto nazionale nel quale la politica ha delegato alla tecnocrazia il compito di attuare le peggiori politiche economiche liberiste facendoci sentire governati, più che da istituzioni democratiche, da finanza e mercati, è quanto mai urgente far emergere proprio dalle realtà locali proposte e prospettive che indichino strade alternative per uscire dalla crisi partendo dai diritti della persona, la salvaguardia dei beni comuni, la riconversione ecologica dell'economia fondata su giustizia ed equità ambientale.

Sono certa che il gruppo consiliare continuerà ad impegnarsi in questo senso e potrà fare un ottimo lavoro.
So di aver fatto in questi anni un'esperienza importante che mi aiuterà nei miei impegni futuri, per quanto mi sarà possibile, nella società civile.

Rivolgo un saluto e un augurio di buon lavoro a tutto il Consiglio Comunale, cordialmente

Lucia Carlesi


San Casciano Val di Pesa, 16 febbraio 2012

sabato 4 febbraio 2012

Il debito pubblico e gli enti locali

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IL DEBITO PUBBLICO E GLI ENTI LOCALI
UN'INTERESSANTE RIFLESSIONE IN UN INCONTRO ORGANIZZATO A FIRENZE DALLA LISTA CIVICA DI FIRENZE PER UN'ALTRA CITTA' E DEMOCRAZIA KM ZERO


IL DEBITO PUBBLICO E GLI ENTI LOCALI
con Ivan Cicconi, autore de "Il libro nero dell'alta velocità, ovvero Il Futuro di Tangentopoli diventato storia". Un viaggio inquietante tra aziende partecipate, project financing, esternalizzazioni. Il debito pubblico usato per finanziare la speculazione finanziaria è diventato il male assoluto. Ma da dove arriva questo macigno, con quali meccanismi si è formato, come si riproduce? E dove è nascosta quella grossa fetta di debito che oggi esiste ma non è ancora conteggiata nel bilancio dello stato? Alcuni meccanismi che generano debito sono infine legati al bilancio degli enti pubblici: dal project financing all'intrico delle aziende partecipate. La legislazione vigente, inoltre, spinge ulteriormente i Comuni a indebitarsi a tutto svantaggio per i cittadini. Conoscere e capire il baratro in cui ci ha spinto la favola liberista (privatizzazioni comprese) è un passo importante per uscire dalla crisi economica e da quella della democrazia.



Sintesi dell'incontro di Gianni Del Panta
Ivan Cicconi nella sua ultima fatica “Il libro nero dell'alta velocità, ovvero il futuro di Tangentopoli diventato storia" ha tentato un esperimento ambizioso ed entusiasmante: leggere l’attuale crisi del capitalismo attraverso uno degli strumenti che più hanno caratterizzato tale sistema economico negli ultimi anni: l’appalto. Il settimo incontro del ciclo di appuntamenti organizzato dalla lista di
cittadinanza perUnaltracittà e da Democrazia Km Zero è uno squarcio su una realtà quasi sconosciuta, una scoperta alquanto dolorosa. Cicconi, con voce soave e ammaliante, ha sapientemente alternato ai riferimenti giuridici il precipitare quotidiano della situazione del nostro Paese, riuscendo così a coinvolgere il numeroso pubblico presente. Tiziano Cardosi, incaricato di spronare l’ospite con domande e riflessioni, ha presto rinunciato al suo compito: tanta era la carica incontenibile dell’argomentare di Cicconi.
Si parla di Tav, ma per una volta non sono in primo piano i disastri ambientali causati da un’opera inutile e costosissima. Sembra così strano che i 93 miliardi di euro spesi per una infrastruttura che forse potrà servire al 5-6% degli utenti ferroviari, cioè una percentuale piccolissima della popolazione italiana, possa essere considerato un fattore quasi secondario. Eppure è la triste conclusione alla quale ha condotto tutti noi l’incontro con Cicconi. Il focus della discussione si è infatti incentrato sull’architettura contrattuale e finanziaria con la quale è stata realizzata l’alta velocità. Proprio questo modus operandi, codificato e normato, è diventato un vero e proprio modello, applicato anche nella realizzazione di qualsiasi altra opera pubblica.
Per comprendere con chiarezza l’argomentare di Cicconi ci sembra saggio separare i tre punti più importanti da lui toccati.
In prima istanza, il modello Tav rappresenta l’emblema di quello che è stato il passaggio tra Prima e Seconda Repubblica per quanto concerne i servizi locali. Con la scusa di abbassarne i costi e migliorarne la qualità si è giunti alla privatizzazione della gestione dei servizi pubblici senza liberalizzazioni. Il passaggio è stato dal monopolio statale in settori strategici per lo sviluppo del nostro Paese ad un oligopolio privato e ristrettissimo. Le società di diritto pubblico normate da leggi dello Stato, come ad esempio le aziende municipalizzate, monitorate nelle loro delibere dalle articolazioni provinciali dei comitati regionali di controllo, sono state sostituite da società di diritto privato. Così se in passato erano i Consigli Comunali a selezionare tramite voto singolo e segreto gli organi e le modalità d’indennità dei consiglieri di queste società, adesso sono i consigli
d’amministrazione stessi a definire in modo autonomo lo stipendio che prenderanno nella loro funzione. Da circa 1500-1600 società di diritto pubblico operanti ad inizio anni novanta a livello locale e nazionale, siamo passati ad oltre 20000 aziende completamente controllate dal sistema dei partiti, che seleziona la classe dirigente di queste società, fino a giungere, come nel caso dell’Atac di Roma, addirittura all’assunzione del personale.
Il secondo problema collegato al modello Tav è il ricorso ai privati per realizzare un’opera qualora non ci fossero risorse da parte degli enti pubblici, tramite il cosiddetto “project financing”. Il project financing è stato sperimentato proprio a partire dal 1991 nel progetto Tav, quando questo è stato lanciato. Secondo quanto sbandierato nella conferenza di presentazione del progetto, ben il 60% dell’opera doveva essere finanziato dai privati. In realtà si trattava semplicemente di prestiti attivati da una società di diritto privato, che venivano garantiti dal socio di maggioranza relativa all’epoca, divenuto socio unico a partire dal 1997: Ferrovie dello Stato. Erano quindi prestiti garantiti dall’amministratore delegato di Fs e dal socio unico di questa società. Indovinate di chi si trattava?
Del Ministero del Tesoro! In sostanza i privati prestavano soldi alle esangui casse statali per realizzare un’opera, non contribuendo però neanche in minima parte alla sua edificazione, che veniva sbandierata con furbizia come il sapiente frutto della collaborazione tra pubblico e mercato.
Ma quale era il motivo di questo operare? La ragione è semplice e risiede nel tentativo di derogare al patto di stabilità europeo. La contabilità di una società di diritto privato non viene infatti calcolata nell’ammontare del debito pubblico nazionale, finendo così per non figurare in quello che viene già considerato un fardello gravissimo per tutti noi: i 1900 miliardi di euro di debito cumulati dal nostro Paese.
Il terzo aspetto da evidenziare riguarda l’approvazione nel 2001 della cosiddetta “Legge Obiettivo”,
concernente la possibilità di realizzare grandi opere in deroga alla normativa europea con lo scopo di accelerarne la realizzazione e di coinvolgere i privati.
Veniva così modificato un articolo della legge quadro sui lavori pubblici, la cosiddetta “Legge Merloni”, con la quale l’Italia aveva recepito nel 1994 le direttive europee sugli appalti pubblici, accettando le definizioni date a livello comunitario di due tipici istituti contrattuali: il contratto d’appalto e il contratto di concessione. Nel primo caso il committente affidava la realizzazione di un’opera ad un’impresa, pagando l’intero importo dell’attività svolta da quest’ultima. Nel contratto di concessione invece, il corrispettivo dato dal committente (pubblico in questo caso) non era monetario, ma consisteva nel diritto di gestire l’opera per un periodo temporale stabilito, che non poteva comunque superare i 30 anni. In questo caso la gestione dell’opera poteva essere accompagnata da un corrispettivo in denaro rilasciato in un secondo tempo dall’ente appaltante; così si prevedeva l’ipotesi in cui la gestione non fosse sufficientemente remunerativa da permettere
di recuperare l’investimento iniziale nel lasso di tempo predefinito. Si stabiliva inoltre che questo accompagnamento non potesse arrivare a coprire più del 50% del costo totale dell’opera. Nel 2001
venivano modificati entrambi gli aspetti quantitativi della legge: il suddetto 50% e il limite dei 30 anni nella durata della concessione. Due norme ragionevoli, in quanto perde di senso che l’accompagnamento, in quanto tale, superi la metà dell’investimento totale; ed inoltre qualunque previsione di mercato fatta in un lasso di tempo superiore ai 30 anni non ha alcuna attendibilità.
Gli effetti nefasti della normativa espressa dalla “Legge Obiettivo” possono essere compresi esaminando il caso della realizzazione della sede unica del Comune di Bologna, affidata tramite project financing ad una società privata. Gli esegui ricavi garantiti al privato dalla gestione di tale opera, calcolati nel 12% dell’investimento iniziale per il periodo della concessione (28 anni), non avrebbero infatti permesso con la passata legislazione di attivare l’investimento; in quanto sarebbe stato necessario un accompagnamento tanto ingente da sfiorare il 90% dell’importo totale e da prevedere un canone annuale di 9,5 milioni di euro. Attraverso la modifica del valore della percentuale massima di accompagnamento e della durata della concessione è stato invece possibile realizzare quest’opera, che comporterà per la città emiliana un ingente saldo corrente nel proprio bilancio per 28 lunghi anni. Così facendo però i quasi 300 milioni di euro necessari per la realizzazione dell’opera non figurano nel debito pubblico nazionale, finendo per rappresentare
quell’ingente parte di debito contratto dal nostro Paese, ma non conteggiato nelle statistiche ufficiali. Secondo stime attendibili dal 2001 ad oggi tramite il project financing e la passività di bilancio nascosta nelle 20000 società di diritto privato sarebbero stati occultati oltre 180 miliardi di euro di debiti, costituiti per oltre il 90% da spesa corrente e quindi non comprimibile. Il saldo generale porterebbe così il rapporto debito/pil alle soglie del 140%.
Ivan Cicconi ha però anche la capacità di far scivolare improvvisamente il discorso da un’inquadratura teorica alla stringente attualità. Così riesce a contestualizzare le liberalizzazioni volute dal governo Monti e definite dal Partito Democratico come “troppo timide”, all’interno di quel più vasto processo di precarizzazione generalizzata che colpisce ormai da molti anni tutto il mondo del lavoro. Sbandierate come necessarie e salvifiche per un mercato imbrigliato da troppi interessi particolaristici, si rivelano invece un graditissimo regalo per i grandi gruppi industriali e commerciali. Un esempio per tutti: l’abolizione della tariffa minima e massima nelle prestazioni dei professionisti. Dimenticandosi che le tariffe minime furono introdotte nel nostro ordinamento proprio per tutelare gli interessi degli utenti, molti oggi ritengono che questa norma possa andare
nella direzione di un abbassamento del costo di determinati servizi.
Credendo alla trita favola della concorrenza che comprime i prezzi (numerosi esempi di segno diametralmente opposto non hanno probabilmente insegnato niente) uno stuolo di benpensanti a rete unificate ripropone questa litania. In realtà, questa norma avvantaggerà proprio le grandi “corporation” che non vogliono l’architetto o l’avvocato di turno protetto dal contratto minimo, ma non produrrà alcun effetto benefico sulla cosiddetta “domanda debole”, quella cioè del cittadino, che non dispone della possibilità di fare contratti vincolanti. La tariffa minima era così diventata per il mondo delle partite Iva il contratto collettivo nazionale di lavoro. La sua abolizione è quindi la condanna ad una vita precaria per le future generazioni di professionisti. Non saranno i soli, però.
Sottotraccia, nascosto nell’oscuro linguaggio giuridico, il governo ha infatti pensato bene di far passare nel cosiddetto decreto “Cresci Italia” l’eliminazione dell’obbligo di applicare il contratto collettivo di settore nel trasporto ferroviario. L’ennesimo dono per il “coraggioso” terzetto che nel 2006 decise di fondare con un investimento di un milione di euro (proprio così, avete letto bene) la società NTV (Nuovo Trasporto Viaggiatori). Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle e l’imprenditore campano Gianni Punzo (più volte sospettato di mantenere stretti rapporti con la Camorra), riuscendo a siglare nel 2007 con l’allora governo di centrosinistra un protocollo di accordo nella gara (pubblica!!) di assegnazione della gestione dell’alta velocità, hanno infatti ottenuto una concessione di dieci anni per determinate tratte ferroviarie. Adesso saranno liberi di andare in deroga al contratto nazionale, abbattendo i salari dei lavoratori e aumentando i propri profitti. Ancora più interessante è però scoprire come una società con capitale così limitato, senza né treni né esperienza nel settore, possa essere riuscita ad ottenere concessioni così importanti. Una volta siglato l’accordo, avviene nel 2008 un cospicuo aumento di capitale, generato in gran parte dall’ingresso nella società di Intesa-SanPaolo, amministratore delegato Corrado Passera. Nel giro di soli cinque anni, senza aver offerto alcun servizio, Montezemolo, Della Valle e Punzo detentori del 95% di una società che valeva un milione di euro, si ritrovano con il 32,5% di una società che ha 300 milioni di capitale. Profitto realizzato: +10.000%. Altro che spread!
L’ultima perla Cicconi la riserva alle trasformazioni prodotte nel mondo del lavoro dall’appalto. La Fiat vent’anni fa aveva 150.000 dipendenti. Oggi a fronte di un fatturato cresciuto di sette volte, i dipendenti diretti si sono ridotti dell’80%. Lo strumento per realizzare questa vasta ristrutturazione è stato proprio l’appalto, con la grande impresa che “spacchetta” la realizzazione di un manufatto a tante piccole e medie aziende altamente specializzate. Così, le 200 più grandi multinazionali, capaci di gestire nel complesso il 65-70% della circolazione globale delle merci, occupano direttamente solo lo 0,75% dei lavoratori mondiali. L’appalto è diventato lo strumento fondamentale di organizzazione delle imprese, l’elemento irrinunciabile per l’iper-flessibilità del mercato. In caso di crisi economica viene infatti tagliato il contratto di appalto, cosa molto più semplice che licenziare migliaia di lavoratori con contratto a tempo indeterminato.
L’appalto ha quindi allontanato il capitale dal lavoro, il capitalista dal lavoratore vivo, ha fatto diminuire la capacità delle maestranze di rivendicare diritti e salari migliori. La crisi finanziaria è la crisi di questo tipo di capitalismo, è la crisi del capitalismo come sistema. Sta anche a noi impegnarci – e subito – per un mondo migliore.

Quanto è monotono il “tecnico” Monti

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fonte: www.sbilanciamoci.info


di Felice Roberto Pizzuti


03/02/2012


Dietro le scelte del governo c'è una politica precisa. Ed è un'applicazione radicale della visione liberista, proprio quando la crisi ne certifica il fallimento
Tra le qualità attribuite al governo Monti c'è la sobrietà; potrebbero dunque lasciare perplessi alcune sue posizioni. Ad esempio, è decisamente stravagante affermare che le misure di liberalizzazione presentate faranno aumentare il PIL addirittura del 10%. Una valutazione siffatta, prima ancora che enfatica, non ha basi affidabili di misurazione, ma esime o distoglie l’attenzione da misure di stimolo alla domanda che in una situazione di grave recessione sono sicuramente più appropriate ed efficaci.
La sobrietà di Monti suscita non minori dubbi quando, riferendosi ai tre obiettivi del suo governo – rigore dei conti pubblici, crescita ed equità –, sostiene che il terzo sarà il risultato delle riforme volte a rendere i mercati realmente concorrenziali. Solo i neoliberisti più sfrenatamente ottimistici hanno immaginato che lo sviluppo generato dai mercati implichi un miglioramento anche per i più poveri (la teoria del trickle down, dello sgocciolamento), ma non sono stati confortati da verifiche empiriche. Tuttavia, se questa è l'idea di equità e del modo di raggiungerla, non sorprende la “tosatura” del sistema previdenziale pubblico, che pure ha un saldo attivo tra contributi e prestazioni previdenziali nette pari all'1,8% del Pil e già da anni sostiene il complessivo bilancio pubblico; né sorprende il progetto di depotenziarlo ulteriormente riducendo le aliquote contributive (e quindi le prestazioni) e immaginando un ruolo sostitutivo e non aggiuntivo per la previdenza privata che, però, assorbe risorse pubbliche (e qui sorge qualche contraddizione; come pure nell’accordare proprio in questo periodo l’aumento dei pedaggi delle autostrade a favore di gestori privati operanti in un contesto molto poco concorrenziale).
Ancora meno sobrio è cercare di convincere i giovani della “monotonia” del posto fisso quando il loro drammatico problema esistenziale è che oggi e in prospettiva sono disoccupati (uno su tre in media nazionale, una su due le ragazze meridionali) e che la loro precarietà di vita si estende fino a includere una inaffidabile copertura pensionistica. Questa sgradevole irrisione della condizione giovanile trae motivo dalla convinzione governativa che, nonostante la natura recessiva della crisi, l’imperativo sia comunque migliorare le condizioni dell’offerta. Il che, per il governo, giustifica anche l’aumento dell’età pensionabile (si avrebbe più forza lavoro disponibile; ma per fare cosa?). In realtà, il trattenimento forzoso a lavoro è servito solo a fare cassa, ma con l’effetto di ridurre ulteriormente i già pochi posti di lavoro disponibili per i giovani e di rendere meno produttiva e più costosa la forza lavoro (il ché, anche dal lato dell’offerta, non è positivo).
Trappola recessiva
Sorpresa deriva anche dalla soddisfazione espressa da Monti dopo la recentissima approvazione del "Patto fiscale" ("abbiamo avuto quello che volevamo" !?) dato che l'affermazione del "rigorismo" tedesco (peraltro, poco rigorosamente influenzato dalle esigenze elettorali della Signora Merkel ) imporrà politiche deflattive all'intera Unione (pregiudicandone la sopravvivenza), e particolarmente all'Italia, che già senza queste misure è in recessione. A riprova della pericolosa "stupidità" delle due regole stabilite dal "Patto " – il rientro di 1/20 l’anno dal debito superiore al 60% del Pil e il pareggio di bilancio annuale costituzionalizzato – il loro rispetto innescherà un meccanismo di autoalimentazione degli effetti deflattivi poiché quanto più un paese già tende a una crescita bassa o negativa (e avrebbe bisogno di misure espansive), tanto più consistenti dovranno essere le "manovre" restrittive (con gli ulteriori effetti deflattivi che si cumulano in una trappola recessiva).
A ben vedere, espressioni appena usate come "sobrietà" e "stravaganza" nel descrivere le opinioni di Monti sono fuorvianti, così come lo è parlare del suo come di un "governo tecnico". Il punto è che le sue "manovre" e le sue posizioni esprimono, come è ovvio, una visione politico-culturale che, cosa niente affatto sorprendente, è liberista; anzi, le posizioni appena ricordate rivelano un'applicazione radicale di quella visione, ma proprio quando la crisi ne certifica un suo nuovo, drammatico fallimento.
Il passaggio da mercati con rendite di posizione – magari di tipo corporativo – a mercati più concorrenziali può, in alcuni casi, avere anche effetti positivi. Tuttavia, la gravità della crisi globale esplosa nel 2007-2008 conferma quanto già dimostrato dalla grande crisi degli anni trenta e da una sterminata letteratura economica cioè l'illusorietà che il mercato, liberato dai "lacci e lacciuoli", possa determinare una elevata, stabile e diffusa crescita economica. Pensare dunque che le manovre di "rigore" e di liberalizzazioni adottate possano dare contributi significativi per uscire dalla crisi e migliorare l'equità, più che stravaganza, esprime una convinzione ideologica tanto accentuata quanto contraddetta da riscontri storici e analitici.
L'esplosione del debito e la finanziarizzazione dell'economia sono aspetti importanti della crisi, ma non le cause primarie; per uscirne occorre intervenire su aspetti "reali" dell'attuale modello di crescita. In primo luogo è necessaria una migliore distribuzione del reddito; non solo per attenuare le diseguaglianze macroscopiche esplose negli ultimi decenni, ma anche per consentire ad una superiore quantità e qualità della domanda finanziata da redditi reali (anziché da "bolle" o da incerti crediti al consumo) di annullare il divario con la capacità d'offerta produttiva che è all'origine della crisi. In questo contesto, i sacrifici salariali e delle prestazioni sociali richiesti come contributo “responsabile” dei lavoratori alla ripresa dell’economia ne costituirebbero invece un aggravamento; oltre che ingiusti, essi sarebbero controproducenti rispetto all'interesse generale mentre le richieste sindacali sono coerenti alle necessità della situazione attuale.
Allo stesso tempo, nel sistema produttivo occorre una riconversione dei modelli di produzione e di consumo che, assumendo nuove compatibilità sociali e ambientali, avvii una nuova rivoluzione tecnologica capace di coniugare la quantità della crescita con una sua superiore qualità civile.
Stato e mercato
Questi cambiamenti non possono scaturire solo dalla pura combinazione spontanea di interessi e scelte individuali; è necessario un riequilibrio tra scelte di mercato (che comunque vanno fatti funzionare al meglio) e scelte pubbliche. Anche in questo secondo ambito, è necessaria una ricomposizione tra i poteri e i criteri decisionali delle autorità di politica economica democraticamente rappresentative, come i parlamenti e i governi, e quelli delle istituzioni non direttamente rispondenti alla collettività, come le banche centrali. L'eccessiva autonomia assunta dai responsabili delle politiche monetarie e finanziarie, che è stato un riflesso dell'autonomizzazione dei mercati e della loro finanziarizzazione – ha contribuito all'inefficacia delle politiche economiche e alla crescita dei debiti pubblici, favorendo la crisi. È significativo che il Cancelliere dello Scacchiere del governo conservatore inglese abbia presentato una bozza di legge che prevede, in caso di future crisi, un intervento diretto della Banca centrale (BOE) su richiesta del governo, riducendo dunque l’autonomia d’intervento della BOE. Dal confronto, la completa autonomia della Banca Centrale Europea (per suo statuto e, più ancora, perché un governo europeo nemmeno c'è) si configura sempre più "stupidamente" controproducente.
Con la globalizzazione dei mercati, il riequilibrio tra la loro sfera d’influenza e quella delle istituzioni non può più avvenire a livello nazionale; anche per questo l’Unione Europea – fondata sull’unitarietà non solo del mercato interno e della moneta, ma anche delle scelte istituzionali – diventa, per ogni paese europeo, l’ambito più idoneo, se non l’unico possibile, per affrontare la crisi.
Ma nelle fasi di transizione, la difficoltà principale – come avvertiva Keynes – non sta nell’accettare le nuove idee quanto nel liberarsi dalle vecchie.
I tedeschi, per esempio, sono ancora ossessionati dall’esperienza inflazionistica della Repubblica di Weimar pur essendo oggi alle prese con una gravissima crisi recessiva; la loro interpretazione del rigore li porta a subordinare le evidenti esigenze macroeconomiche e di riequilibrio interno del progetto europeo all’estensione del loro modello fondato sugli avanzi commerciali che è logicamente incompatibile con il passaggio da un’economia nazionale a una continentale.
Democrazia, politica e tecnica
Un male oscuro particolarmente radicato nel nostro paese è la sfiducia nella politica e nelle istituzioni; negli ultimi decenni è ulteriormente cresciuto e ostacola il nostro contributo al riequilibrio dei rapporti tra mercati e istituzioni, tra le scelte operati da pochi e quelle più democraticamente rappresentative.
Un rischio grave ma realistico dell’evoluzione della crisi nel nostro paese è che si accentui una tendenza che pure ha contribuito a determinarla a livello globale, ovvero un suo esito tecnocratico, lesivo della democrazia.
Democrazia, politica e tecnica sono strettamente interrelate; se è vero che un “governo tecnico” opera scelte la cui ineliminabile valenza politica può essere pericolosamente poco trasparente, un “governo politico” che prenda decisioni tecnicamente inconsistenti esercita effetti parimenti dannosi per la democrazia. Nel nostro paese, l’aumento negli ultimi anni della sfiducia nella politica è stato favorito dall’autoreferenzialità e dall’opportunismo diffuso nella classe politica a danno del merito. Adesso il rischio democratico deriva dal fatto che, in presenza di una forte sfiducia nei politici e nella politica, le scelte del governo Monti vengano accettate solo perché sembrano tecniche, nel senso di neutrali e “dovute”. Questo è il prezzo, in prospettiva il più alto, che già stiamo pagando per la pur comprensibile sfiducia nella politica.
Considerate le esigenze poste dalla crisi – come una migliore distribuzione, un maggior ruolo pubblico, un incremento qualitativo della crescita – la Sinistra è la parte politica potenzialmente più “attrezzata” per affrontarla e per ricevere a tal fine il consenso democratico. La Sinistra dovrebbe dunque evidenziare i suoi valori costitutivi coniugandoli con la capacità tecnica di realizzarli e di combinare gli obiettivi di medio e lungo periodo con la gestione del presente; la sua storica preoccupazione di dover sopperire alle funzioni e alle carenze del Centro destra sono rese superflue anche dal fatto che un serio politico di quell’aria è arrivato. La Sinistra deve avere la maturità di assumersi la responsabilità di classe dirigente proponendo i suoi valori perché è di essi che c’è bisogno per superare positivamente la crisi e perseguire l’interesse generale.

venerdì 3 febbraio 2012

Campagna di Obbedienza Civile per il rispetto del voto referendario

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Il 12 e il 13 giugno 27 milioni di persone hanno deciso:

 l'acqua deve tornare pubblica, basta profitti ai privati. Il loro voto deve essere rispettato.




In tutta Italia c'è aria di Obbedienza Civile!

Parte in tutta Italia la campagna di Obbedienza Civile per il rispetto del voto referendario.


In ogni città iniziative e banchetti informativi. Il nostro voto va rispettato.

 








Latte materno "Bene Comune"

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CAMPAGNA NAZIONALE PER LA DIFESA DEL LATTE MATERNO

Lucia Carlesi, consigliere comunale a San Casciano Val di Pesa per Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista ha aderito alla campagna.

La campagna è promossa da associazioni di Medici e di genitori (ISDE – Associazione Medici per l’Ambiente, IBFAN Italia, MAMI – Movimento Allattamento Materno Italiano, ACP – Associazione Culturale Pediatri, Minerva p.e.l.t.i. onlus, PeaceLink, Gruppo Allattando a Faenza, Mamme per la Salute e l’Ambiente onlus – Venafro) che, con diverse mission, si sono trovati sotto il comune denominatore della protezione della salute infantile, nel nostro Paese sempre più minacciata da impianti industriali e di smaltimento dei rifiuti che rilasciano nell'ambiente sostanze altamente tossiche quali la diossina.
Pensare che il latte materno - così prezioso - possa essere contaminato da sostanze inquinanti, terribili come la diossina, è insopportabile. Le associazioni insistono sulla necessità di interventi non più rinviabili. Per aderire alla Campagna  http://www.peacelink.it/latte
Il latte materno “inquinato” (che, precisa il Manifesto, è comunque preferibile ai latti in formula perché garantisce comunque esiti di salute migliori per i bambini, già stati esposti in utero ad agenti tossici) diventa il simbolo, la cartina al tornasole, dell'entità dell'inquinamento ambientale.
Tra le azioni che la Campagna si propone c'è la ratifica della convenzione di Stoccolma, la richiesta di attuazione di un biomonitoraggio a campione del latte materno, per mappare le zone più inquinate e rendere consapevoli i cittadini di informazioni che spesso vengono occultate.


giovedì 2 febbraio 2012

Rifiuti: i nostri amministratori non potranno più dire che non ci sono alternative agli inceneritori

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Come capogruppo di Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista ho inviato al Sindaco, alla Giunta e a tutto il Consiglio Comunale di San Casciano Val di Pesa  il documento "Alterpiano a combustione zero" per la gestione dei rifiuti nell'Ato Toscana Centro, elaborato dal Coordinamento dei Comitati della Piana FI PO PT e dal Coordinamento dei Comitati Ato Toscana Centro. A tale documento il gruppo consiliare Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista ha dato la propria adesione.
Un piano in perfetta sintonia con le normative comunitarie, nazionali e regionali, a Combustione Zero, che esclude le nocività e i costi insostenibili sotto il profilo economico e sanitario tipici del sistema integrato basato sull’ incenerimento dei rifiuti. Una proposta che, a differenza del Piano Interprovinciale dell'Ato Toscana Centro, non aggiungerà inquinamento, non distruggerà la materia e la salute, aumenterà l'occupazione e farà risparmiare denaro pubblico.

mercoledì 1 febbraio 2012

“Il mio voto va rispettato”: campagna di obbedienza civile per l'acqua pubblica

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Nonostante l’esito chiaro del referendum, governo e gestori non hanno adeguato le tariffe del servizio idrico. Dal primo gennaio la nuova campagna di “obbedienza civile” del Forum dei movimenti per l’acqua

Luca Martinelli da Altreconomia
“Il mio voto va rispettato” è lo slogan che sventola sulle nuove bandiere del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, quelle inaugurate a Roma con la manifestazione nazionale del 26 novembre scorso. Sotto c’è scritto “campagna di obbedienza civile”, e significa che dal 1° gennaio 2012 i comitati territoriali del Forum (www.acquabenecomune.org) andranno a rideterminare (al ribasso) le tariffe del servizio idrico integrato, cancellando la voce “remunerazione del capitale investito”: si tratta dell’applicazione del secondo quesito referendario, quello che faceva riferimento alla “Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato”, ed è passato con 26.130.656 sì su 27.642.457 voti validi.
“Il 12 e 13 giugno scorso i cittadini hanno modificato la normativa nazionale. I referendum non esprimono pareri né indirizzi -spiega Severo Lutrario, tra i membri del gruppo “Campagna tariffe” del Forum-. Lo ha ribadito la Corte Costituzionale, che dichiarando ammissibili i quesiti referendari sui servizi pubblici locali (il primo e il secondo, ndr) ha spiegato che la normativa che sarebbe scaturita dall’approvazione era immediatamente applicabile. Oggi -continua Lutrario- chi non rispetta la legge è il governo, sono le Autorità d’ambito, sono i gestori, che non hanno adeguato le tariffe. Per questo, la campagna che i cittadini stanno attivando non è una ‘disobbedienza civile’ ma una ‘obbedienza civile’”.
La campagna è iniziata con l’anno nuovo, quando sono andate in scadenza le fatturazioni del terzo trimestre 2011, le prime che avrebbero dovuto tener conto del risultato referendario. “Ci siamo presi un paio di mesi per organizzare la campagna, che non è semplice -spiega Lutrario-. Stiamo ricostruendo la ‘situazione’ tariffaria in ogni Ambito territoriale ottimale (Ato, sono 92 in tutta Italia, ndr)”.
La remunerazione del capitale investito incide in modo diverso sulla bolletta dei cittadini italiani, e ciò dipende da dove abitano e dal metodo di determinazione della tariffa: “Da un punto di vista matematico, incide sulla tariffa tra il 12-13% e il 25%. È pari al 7% degli investimenti non ancora recuperati con l’ammortamento di capitali. La normativa faceva riferimento agli investimenti previsti, non a quelli effettivamente operati. E su questo potremmo aprire un altro contenzioso” racconta Lutrario, che è anche il coordinatore del Forum provinciale di Frosinone. Nella città laziale 50mila utenze su circa 180mila, dal 2008, hanno contestato le fatture al gestore, che è Acea Ato5 (www.aceaato5.it), controllata dalla multinazionale romana Acea. “Invece di auto-ridurci le bollette, abbiamo deciso di inviare reclami, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, per contestare le componenti della tariffa che consideravamo illegali ed illegittime. La pressione è stata talmente forte che l’assemblea dei sindaci, nel dicembre 2009, è stata costretta a revocare le tariffe. Al momento sono tornate in vigore, in via provvisoria, quelle del 2005. La campagna di ‘obbedienza civile’ verrà condotta allo stesso modo”.
Secondo il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, cioè, i cittadini aderenti non potranno in alcun modo essere considerati “morosi”: “Il primo atto che ogni utente farà è trasmettere al proprio gestore una lettera di reclamo e di diffida -riprende Lutrario-. L’utente eserciterà, cioè, il proprio diritto a contestare la fattura. Con la diffida, chiederà di eliminare la componente ‘remunerazione del capitale investito’, preannunciando che nelle more provvederà a rideterminare il corretto importo della tariffa. È un atto legale, e la presentazione del reclamo sospende qualsiasi azione da parte del gestore finché non abbia risposto in modo esauriente al reclamo. Dopo di che, può iniziare un eventuale contenzioso, con il tentativo di recupero del credito davanti al giudice di pace. Quello che non i gestori non possono fare -conclude Lutrario- è sospendere il servizio o ridurre il flusso idrico. Gli utenti non sono morosi: stanno reclamando, è un loro diritto. Eventualmente, dev’essere il giudice a stabilire chi ha ragione, e a noi sembra molto chiaro”.
Il sistema di finanziamento del servizio idrico integrato, che “deve basarsi anche sulla finanza pubblica e la fiscalità generale” ricorda Corrado Oddi, del Comitato referendario e della Funzione pubblica-Cgil. Si potrebbe, ad esempio, immaginare che gli investimenti degli enti locali per i servizi di pubblica utilità escano dal “Patto di stabilità”. Che non è un dogma, e perciò può essere modificato.
 

San Casciano Val di Pesa • Gruppo consiliare Laboratorio per un’Altra San Casciano - Rifondazione Comunisti Italiani