domenica 7 marzo 2010

LA RIVOLTA DELLE CARRIOLE, A L'AQUILA SI SCIOPERA LAVORANDO, SULL'ESEMPIO DI DANILO DOLCI

VI PROPONGO QUESTO INTERESSANTE ARTICOLO CHE HO LETTO SU L'ALTRACITTA', GIORNALE DELLA PERIFERIA
di Giancarlo Caselli
La protesta pacifica cui hanno dato vita domenica scorsa seimila cittadini aquilani “armati” di carriole e secchi, rimuovendo parte delle macerie che da oltre un anno bloccano la ricostruzione del centro storico della città, richiama alla mente lo “sciopero alla rovescia” organizzato da Danilo Dolci nel febbraio 1956. Per denunziare pubblicamente la cronica mancanza di lavoro che affliggeva (affliggeva?) migliaia di siciliani, spingendoli in molti casi a subire la tentazione della tagliola dell’illegalità, Danilo Dolci decise di occupare con i cittadini di Partinico, per sistemarla e ripristinarla, la “trazzera vecchia”, una strada demaniale divenuta inutilizzabile a causa dell’incuria dell’amministrazione. L’idea di base della manifestazione organizzata da Dolci era molto simile a quella che ha mosso i cittadini de L’Aquila.


Lo sciopero delle carriole a L'Aquila

Diceva Dolci che se un operaio, per protestare, si astiene dal lavoro, allo stesso modo un disoccupato può scioperare lavorando. Così gli aquilani: colpiti dai ritardi e dalle inadempienze del potere pubblico, hanno deciso di rimboccarsi le maniche e di lavorare allo sgombero delle macerie al posto di chi avrebbe dovuto, quanto meno, cominciare a farlo. Ed ecco una lunga, emozionante teoria di carriole e nello stesso tempo una coinvolgente catena umana per il passaggio di mano in mano di secchi pieni di macerie, con una civilissima selezione terminale per la raccolta differenziata.
A sostegno delle scelte di Danilo Dolci, Piero Calamandrei pronunziò parole che ben si possono adattare alla vicenda dei cittadini aquilani. Anche a L’Aquila, come a Partinico, il contrasto è tra chi difende le ragioni – spesso ottuse – della burocrazia, e chi invece obbedisce alla legge morale della coscienza e rivendica i diritti che sono garantiti a tutti dalla Costituzione democratica, chiave ineludibile di interpretazione delle leggi e dei regolamenti amministrativi. In queste leggi e in questi regolamenti i cittadini de L’Aquila, con una corretta ed urbana protesta, hanno voluto far circolare le loro speranze, il loro sangue e il loro pianto, respingendo la prospettiva che i diritti possano di fatto ridursi ad ostaggio di carte morte.
Ieri a Partinico – oggi a L’Aquila e non solo – della legalità e dell’amministrazione i cittadini comuni hanno spesso l’idea di un meccanismo ostile, buono soprattutto per gabbare le loro ragioni e soffocare i loro giusti reclami. Questa è stata – troppe volte – la “maledizione” del nostro paese, evocata da Calamandrei per dare un senso e una giustificazione costituzionali alla protesta dei disoccupati di Partinico. Danilo Dolci e gli aquilani – ciascuno a suo modo e nel suo tempo – hanno voluto dire “basta” a questa maledizione: denunziando le vere colpe e le vere incurie di un potere che tende perennemente ad autoassolversi nonostante le disuguaglianze che le disfunzioni rafforzano – vigilando sul comportamento dei politici e degli amministratori, così da esercitare un diritto fondamentale – in una democrazia compiuta – perché ad una posizione di sostanziale sudditanza si sostituisca una cittadinanza effettiva.
Che è poi (variando, ma non di molto, il campo d’osservazione) la stessa ambizione del “popolo viola”, che continua a riempire la strade e le piazze: un popolo di giovani che rifiuta rassegnazione, indifferenza, disimpegno e riflusso. Che ha il coraggio di allontanare da sé tutto ciò che è suggestivo ma vuoto, dimostrando invece capacità di critica argomentata e intelligente. Giovani che lavorano ad una comunità finalmente capace di rompere privilegi e ingiustizie. Ripartendo – anche in questo caso – dalla Costituzione.

Fonte Il Fatto
 

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